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Che cosa penso del progettino di Tito Boeri

Tanto tuonò che piovve. Dopo che Tito Boeri aveva seraficamente anticipato da Lucia Annunziata a “In mezz’ora” la cosiddetta proposta dell’Inps sulla riforma del welfare (a quanto pare pronta   consegnata prima dell’estate, ma rinchiusa in un cassetto a Palazzo Chigi), un’anonima (anche gelida?) manina ha fatto pervenire a un quotidiano online il testo relativo, alla stregua di una Procura che distribuisce ai giornalisti “amici” la fotocopia della trascrizione di un’intercettazione telefonica intrigante. Si tratta di un vero e proprio disegno di legge, con tanto di relazioni illustrativa e tecnica e di articolato (ben 16 articoli): il tutto distribuito su di una settantina di pagine, tabelle incluse.

Il che, a chi scrive, pare gravissimo ed inaccettabile: un vero e proprio abuso di potere. Anche perché non è consentito a nessuno di avvalersi della carica istituzionale ricoperta (la presidenza dell’Inps è un organo monocratico) per fare valere le proprie opinioni personali. Se nel Consiglio di indirizzo e vigilanza (rappresentativo delle parti sociali) ci fossero componenti dotati di un minimo di dignità e correttezza istituzionale, questi dovrebbero prendere l’iniziativa per una mozione di censura nei confronti del presidente. La reiterata condotta di Boeri pone diversi problemi: di metodo e di merito. Cominciamo dal metodo. Chi autorizza l’Istituto di via Ciro il Grande  quelle proposte sulle politiche di welfare che Boeri ha annunciato fin dallo scorso mese di giugno e che non hanno trovato – se vogliamo dirci la verità – accoglienza e sostegno da parte del Governo? Con questa domanda non ci limitiamo ad avanzare rilievi di carattere formale, ma intendiamo sollevare questioni sostanziali. Con il suo bagaglio professionale e le sue banche dati, l’Inps è sempre stato di supporto – insieme al Tesoro, prima e all’Economia, poi – degli esecutivi che si cimentavano con le riforme del sistema previdenziale; ma le indicazioni generali venivano dal Governo e dal Parlamento.

Fino a pochi anni or sono, poi, l’Istituto esprimeva una governance, modulata, nel sistema duale, su più organismi, nominati dal Governo e in rappresentanza delle parti sociali. Oggi, ad essere franchi, il profilo istituzionale è quello di “un uomo solo al comando”, visti i poteri che si concentrano nelle mani di un  presidente, il quale, nella persona di Tito Boeri, è un prestigioso intellettuale, evidentemente tentato di far passare le proprie idee avvalendosi della “gioiosa macchina da guerra” dell’Ente previdenziale più importante d’Europa. Ecco, allora, che Boeri svolge il suo ruolo quando dichiara di voler cambiare le modalità di erogazione delle pensioni, sia per rendere più snello il procedimento amministrativo, sia per venire incontro alle esigenze degli utenti (che fine ha fatto il processo di unificazione tra i diversi enti incorporati?);  o quando vuole che l’Istituto finalmente sia in grado di comunicare agli iscritti la possibile evoluzione della loro posizione assicurativa e di unificare in un’unica erogazione spezzoni di trattamento ereditati da ordinamenti anch’essi frantumati. Più discutibile è la presunta azione di trasparenza che porta a denunciare talune incongruenze del sistema arrivando ad un passo dal criminalizzare intere categorie, i cui trattamenti hanno avuto pur sempre un riferimento in particolari norme di legge.

Quanto al merito, chi autorizza l’Inps a mettere apertamente in discussione le legge Fornero che ha assicurato stabilità di lungo periodo al sistema? Dove sta scritto che è necessario un modello di flessibilità (che nella legge vigente è già previsto fino ai 70 anni) impostato su di un abbassamento dell’età pensionabile, sia pure disincentivato, a fronte degli scenari demografici che ci attendono? A tali domande si risponde che chi andrà in pensione prima, riceverà un assegno più modesto; che si spenderà di più oggi, grazie a un maggior numero di trattamenti, ma meno domani in conseguenza di un importo più basso (tanto per tranquillizzare la Ue). Eppure, tutta la letteratura in materia (che Boeri conosce benissimo) assume il prolungamento della vita attiva come condizione primaria non solo della sostenibilità, ma anche dell’adeguatezza delle prestazioni. Non ha un senso compiuto consentire a persone non ancora o appena sessantenni, in grado di lavorare, di andare in quiescenza con una pensione ridotta, per doverli assistere quando avranno 80 anni e il loro assegno risulterà inadeguato rispetto ai loro bisogni.

La proposta dell’Inps fa, poi, notevoli concessioni al populismo dilagante, proponendo vistosi tagli alle pensioni più elevate (dai 3,5mila euro lordi mensili in su, sia pure con diverse modalità per quelle superiori a 5mila euro) sottoponendole al “giudizio di Dio” del calcolo contributivo. Troviamo piuttosto singolare – e non giustificato da ragionamenti di equità  – applicare retroattivamente un diverso sistema di calcolo su  trattamenti a suo tempo liquidati in modo conforme alle leggi vigenti. Un’operazione siffatta rischierebbe una sanzione di incostituzionalità. La Consulta, nella sua giurisprudenza consolidata, ha riconosciuto la legittimità di contributi di solidarietà anche molto elevati e modulati sulle pensioni più elevate (attualmente per fasce superiori a novanta mila euro). Ma nella proposta Inps si tratta di tagli strutturali e permanenti. Poi, se si devono “penalizzare” i trattamenti  che hanno usufruito del presunto beneficio del calcolo contributivo, perché prendersela soltanto con le pensioni più elevate, in nome di un principio di equità che non sussiste. Basterebbe citare due questioni.

In una recente studio di Fabrizio e Stefano Patriarca, pubblicato proprio su LaVoceinfo, ha dimostrato (grafico 1) che il maggiore squilibrio tra i due metodi di calcolo emerge nei trattamenti di valore intermedio (e nelle pensioni di anzianità), perché gli assegni più elevati (questo è la seconda questione) hanno dei correttivi interni  (il rendimento decrescente  sulle quote di retribuzione superiori a 45mila euro lorde annue e il tetto dei  40 anni di contribuzione). Infine, dove sta scritto che gli eventuali risparmi dovrebbero confluire nel finanziamento di un reddito minimo a favore delle coorti comprese tra 55 e 65 anni che si trovino in condizione di difficoltà, quando è già prevista dal jobs act  una prestazione assistenziale definita Asdi? I beneficiari della proposta  di Boeri sarebbero i  c.d. esodati? Ma non è ora di finirla con questa telenovela?

Per loro sono state previste ben sei sanatorie coperte da risorse stanziate più volte e risultate superiori al fabbisogno, perché, di sicuro, si è esagerato nei numeri dei soggetti da tutelare. E se ne sta varando una settima nella legge di stabilità. Quando Boeri  afferma che ce ne vorrà un’ottava, in pratica, si iscrive al partito ancien règime di coloro che non si limitano a considerare “esodati’’ soltanto quelli che, entro la fine del 2011, rimasero intrappolati nei nuovi requisiti introdotti dalla riforma, ma tutti coloro che, a pochi anni dalla pensione perderanno il posto di lavoro, senza riuscire a coprire il periodo di carenza (gli anni che li separano dal varcare l’agognata soglia) con il sostegno degli ammortizzatori sociali o con altre forme di tutela (visto che un lavoro non lo cercheranno neppure o non lo troveranno di loro gradimento). Ciò, alla faccia del “contratto di ricollocazione”. E della nuova stagione delle politiche attive (compreso il part time per gli anziani) che è nei progetti del Governo. E’ ora di finirla con l’idea di un sistema pensionistico incaricato di arrivare come un “vendicatore mascherato” a riparare ai torti, veri o presunti, subiti durante la vita attiva.

Grafico 1

grafico cazzola

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