Il percorso per il rientro a pieno titolo dell’Iran sulla scena internazionale è ancora lungo e accidentato, ma i primi passi sono stati intrapresi. Segno tangibile di questo movimento è la visita che il presidente della Repubblica Islamica, Hassan Rouhani, terrà in Italia domani e domenica. Il viaggio del capo di Stato è il primo in un Paese europeo, dopo l’accordo sul programma nucleare di Teheran, e rappresenta un momento non solo simbolico.
GLI INCONTRI DI ROUHANI
Molti gli incontri previsti, tutti di alto livello: dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al premier Matteo Renzi, oltre a uno storico colloquio in Vaticano con Papa Francesco. E altrettanti i dossier sul tavolo. Tra Roma e Teheran c’è un feeling che non è mai venuto meno, neanche in questi anni difficili (“Sulle questioni internazionali e politiche – ha rimarcato Rouhani in una lunga intervista al Corriere della Sera -, i leader italiani hanno sempre avuto un atteggiamento moderato nei nostri confronti. Nelle nuove condizioni, l’Italia può essere per noi uno dei partner più importanti”).
I LIMITI (E I VANTAGGI) DELL’ITALIA
Per Nicola Pedde, esperto di Iran e direttore dell’Institute for Global studies, queste parole, se ben interpretate, celano le grandi opportunità – anche nel campo strategico militare e della difesa, – che l’Italia potrebbe cogliere nel rapporto col Paese asiatico, se solo si rivelasse più attenta. “Roma al momento non ha grandi capacità di incidere sul versante politico nella regione, principalmente a causa dei propri limiti. Cura micro interessi, come l’addestramento dei peshmerga, ma si è finora rivelata incapace di definire i propri interessi e il suo campo d’azione. Purtroppo va rilevato che nel dossier iraniano l’Italia è stata fatta fuori proprio da un Paese europeo, la Germania, che non l’ha voluta al tavolo”. Questo, rileva Pedde, “la dice lunga su quale sia la competizione che alberga anche nel Vecchio Continente. Però Rouhani ha voluto esplicitamente far precedere il viaggio in Italia a quello in Francia. Una scelta che è un segnale di amicizia e ha una forte valenza simbolica e politica. Le sue parole, poi, sono la dimostrazione che Teheran si aspetta da noi un ruolo più incisivo, che potremmo recitare soprattutto sul versante diplomatico. Ad esempio come mediatori nel rapporto con gli Stati Uniti, la Russia e anche la Cina, per certi versi. Tuttavia, il fatto di non essere percepiti come una minaccia, può avvantaggiarci sul piano economico”.
LE OPPORTUNITÀ PER FINMECCANICA
Tra gli spazi ancora vuoti che le nostre imprese potrebbero occupare nel nuovo Iran ci sono anche quelli nel settore della Difesa, già in passato terreno di forte collaborazione tra Roma e Teheran. “Ci sono grandi opportunità”, commenta l’esperto, “per nostri campioni nazionali, come il gruppo Finmeccanica. Penso ad esempio all’ala rotante con AgustaWestland. La Repubblica islamica ha bisogno di elicotteri. Il suo parco è vecchio e poco efficiente e andrebbe rinnovato a beneficio non solo delle Forze armate, ma anche di quelle di polizia, dei Vigili del fuoco o della vigilanza degli impianti petroliferi. Ma anche aziende come Selex Es e Alenia Aermacchi potrebbero trovare nell’Iran un florido mercato”.
GLI SCAMBI MILITARI
Ma non sarà solo il piano economico a evolvere. Della futura cooperazione tra i due Paesi, aggiunge Pedde, faranno parte anche gli scambi militari, soprattutto quelli di intelligence. Rapporti già presenti in modo sotterraneo, ma che potrebbero trovare ufficialità e legittimazione, e così rafforzarsi. “Gran parte degli Stati europei e anche gli Usa scambiano già informazioni con Teheran. Avviene, ad esempio, in Iraq nel contrasto all’Isis o in Afghanistan contro i Talebani. Però non si può dire, perché in entrambi i mondi ciò rappresenta una linea rossa ideologica. Nell’arco del prossimo futuro è però prevedibile una normalizzazione di questo rapporto. Avere incontri ad alto livello senza nascondersi consentirà di incrementarne il numero e la sostanza. Non lo si può fare oggi, è ancora prematuro tanto a Washington quanto a Teheran. Entrambi i leader, se lo facessero, si esporrebbero a critiche feroci. Ma nel medio periodo è ciò che avverrà, anche se ancora non possiamo sapere quando”.