Il presidente Hassan Rouhani è stato costretto dai fatti di Parigi a rimandare la sua visita in Italia, ma il dialogo tra Roma e Teheran prosegue. Dal 28 al 30 novembre, 178 aziende, 20 associazioni imprenditoriali e 12 gruppi bancari della Penisola, per un totale di 370 partecipanti, saranno nella Repubblica Islamica per una missione imprenditoriale. Obiettivo: tastare con mano le possibili collaborazioni economiche possibili una volta che l’Iran sarà sollevato dal fardello delle sanzioni. Cosa aspettarsi?
LE CONVERGENZE…
“In questo momento”, spiega a Formiche.net la giornalista esperta di Iran e Medioriente Tatiana Boutourline, “ci sono interessi convergenti tra Italia e Iran o, forse, direi più in generale tra Europa e Iran. Teheran cerca la legittimazione internazionale per tornare sui tavoli più importanti. Aspira ad essere qualcosa di più di una potenza sciita, ha un retaggio imperiale e percepisce la sua influenza molto oltre i suoi confini. Gli europei, invece, vedono le grandi potenzialità del mercato iraniano, ma ci sono ancora molti interrogativi sia politici sia pratici. L’Italia, anche per ragioni storiche, è riuscita a mantenere rapporti buoni con l’Iran anche nei momenti più bui, ma dovrà affrontare gli stessi problemi degli altri”.
…E LE DIFFICOLTÀ
Per la giornalista, collaboratrice del Foglio ed esperta di Iran, investire nella Repubblica Islamica non sarà però una passeggiata. “C’è un grande entusiasmo, anche legittimo. Ma anche diversi ostacoli. Intanto il percorso per l’alleggerimento delle sanzioni è ancora lungo e tortuoso. Una volta completato bisognerà confrontarsi con problemi pratici: l’Iran è fuori dal sistema dell’Ue, nel Paese vige talvolta un concetto curioso di proprietà privata, e poi c’è il nodo della difficile rinegoziazione dei contratti petroliferi”.
IL NODO DEI PASDARAN
Contrariamente a ciò che si pensa, sottolinea la Boutourline, a frenare l’accordo non erano solo israeliani e conservatori Usa. “Oggi c’è un grosso peso delle Guardie della Rivoluzione, i Pasdaran, nell’economia iraniana. Se Teheran dovesse davvero aprirsi, essi perderebbero molto del loro peso e dei business che gestiscono. Finora sono riusciti a sabotare diverse operazioni e non è detto che continuino a farlo”.
UN SISTEMA DA RIFORMARE
Alla base dell’isolamento iraniano, spiega ancora la giornalista, c’è anche un problema politico interno che fa a braccio di ferro con gli effetti della globalizzazione e con le difficoltà economiche. “Si tratta di un sistema incancrenito. La Guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, sa bene che il regime teocratico del suo Paese è in difficoltà. La popolazione iraniana è giovane e istruita e al pari dei coetanei subisce gli influssi di un mondo globalizzato. Le spinte culturali vanno in una direzione, il governo da un altro. Tenere tutto ciò in equilibrio non è semplice. Senza contare che anche i più conservatori in Iran sanno che è necessario attrarre capitali se non si vuole arrivare a un crollo totale dell’economia, che spingerebbe il popolo a respingere l’attuale modello”.
LA RIFLESSIONE DI TEHERAN
Per evitare questo collasso, rileva la Boutourline, i leader iraniani lanciano messaggi confusi. “Da una parte si assiste a una repressione, per mostrare che non ci saranno cessioni, dall’altro si sa che alcune concessioni erano necessarie. Nasce da questa valutazione la divergenza tra conservatori e riformisti, che spesso in Europa viene banalizzata come una lotta tra un mondo retrogrado e una rivoluzione occidentale. In verità l’Iran è oggi una società assolutamente desacralizzata ma governata secondo principi della fede islamica. Così Rouhani – che qui viene definito moderato, ma è solo un pragmatico – si trova a fare i conti da una parte con il Paese reale, a cui lancia messaggi di cambiamento e l’idea che i suoi desideri possano prima o poi essere soddisfatti, dall’altro cerca di rassicurare la leadership religiosa”.
QUALE MODELLO?
Il regime iraniano, dunque, non è un monolite. Ma come si autoriformerà per bilanciare tradizione, religione e apertura ai mercati? “All’interno di questa galassia conservatrice c’è chi vuole un modello cinese. I riformisti vorrebbero invece aperture in campo culturale. Mentre gli Ayatollah vorrebbero tenere tutto chiuso. Impossibile fare previsioni”, rimarca la giornalista, “ma questi sono i modelli di società che oggi si scontrano nel Paese”. Determinanti, in questa scelta, saranno le prossime elezioni. “Bisognerà vedere se Rouhani riuscirà rafforzato o indebolito dalla prossima tornata. Molto dipenderà dal successo dell’implementazione degli accordi, che rappresentano non solo un terreno di scontro interno, ma anche la cifra per valutare la distensione dei rapporti con l’Occidente”.
IL QUADRO INTERNAZIONALE
Per quanto riguarda invece il ruolo che Teheran potrà svolgere sul piano internazionale, anche in questo caso lo scenario è imprevedibile e, per la Boutourline, molti entusiasmi occidentali sono immotivati. “Sarebbe ingenuo pensare che il nuovo Iran possa avere a priori una funzione stabilizzatrice. Finora Teheran ha dimostrato anzi di prosperare in scenari in cui c’è caos. Il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, è senz’altro suadente, ma lo fa per tutelare gli interessi iraniani. Un giorno va a Washington e rassicura Barack Obama, un altro si reca a Damasco e sorride con Bashar al-Assad. Non credo che questo approccio cambierà, perché l’Iran è un Paese sciita in una regione prevalentemente sunnita. Lo scenario in Siria e Iraq lo dice chiaramente, così come lo Yemen o le provocazioni a Israele. Teheran sente di doversi difendere con tutti gli strumenti diplomatici, e non solo, a sua disposizione. Molto, anche in questo caso, dipenderà dal rapporto che il Paese saprà capace di ricostruire con gli Usa nel medio e lungo periodo”.