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La Russia in festa, la diplomazia sulla Siria, la “guerra santa” e la Madonna di Kazan

Oggi, 4 novembre, in Russia si festeggia la Giornata dell’Unità nazionale, festività reintrodotta nel 2005, ma festeggiata già durante l’Impero russo (si commemora la cacciata di polacchi e lituani da Mosca, avvenuta nel 1612: fu lo zar Michele ad istituire la festa nel 1613). È una festa nazionalistica, come il nome stesso evoca: ma non è una festa molto sentita tra i cittadini. Il presidente Vladimir Putin invece ci tiene, o almeno dà dimostrazioni di tenerci: la segreteria stampa del Cremlino fa sapere che oggi, nella Piazza Rossa, ha depositato dei fiori sulla tomba di Kuzma Minin e Dmitry Pozharsky, i due eroi simbolo del 1612. Successivamente ha presenziato ad un forum organizzato dalla Chiesa ortodossa di Mosca: oggi infatti è anche una festività religiosa, la Madonna di Kazan.

PUTIN È UN FULCRO DIPLOMATICO (E FORSE ASSAD COMINCIA A PREOCCUPARSI)

Tutto questo in mezzo agli impegni diplomatici che sembrano riempire oltre il tempo disponibile le giornate del presidente: per esempio, in un’altra nota stampa il Cremlino ha fatto sapere che Putin ha avuto una conversazione telefonica per discutere il destino della Siria con il suo omologo turco Recep Tayyp Erdogan. Di cose del genere, ne escono tante al giorno. Il presidente russo continua ad impegnarsi per garantire un futuro a Damasco ad un ritmo frenetico, dicono le fonti governative da Mosca: «Dialogo» è invece la parola d’ordine con cui ormai la Russia tratta tutte le questioni geopolitiche intorno alla Siria. E come Putin, anche i suoi uomini non hanno pace nel cercare sponde di “dialogo”: oggi Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri, incontra il delegato Onu per la Siria Staffan de Mistura (bilaterale concordato venerdì scorso a Vienna).

«Assad non è cruciale». Ieri la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, in un’intervista a Radio Eco di Mosca ha dichiarato che «Assad non è cruciale» per il futuro siriano. «Il tema principale è il processo politico in Siria, l’inizio di un dialogo reale tra Damasco e l’opposizione», ha aggiunto Zakharova, tornando alla scelta semantica del “dialogo”. Si tratta di un registrabile cambio di rotta rispetto alla posizione nota, che alcuni osservatori attribuiscono ad una crisi di rapporti tra alleati, fronte Iran. Gli iraniani hanno minacciato di lasciare il tavolo negoziale impostato a Vienna per incompatibilità con i sauditi: a Mosca può non essere andata giù questa posizione eccessivamente radicale presa da Teheran, che venerdì scorso era stato per la prima volta invitato, su impegno proprio di Mosca, ad un incontro del genere.

Raid pesanti a Raqqa. Sempre ieri, l’aviazione russa ha martellato per la prima volta sul serio l’IS, colpendo ripetutamente nell’area di Raqqa, la capitale de facto dello Stato islamico, nel nord Siria. È l’area destinataria dell’offensiva dei ribelli US-backed, quelli che avranno assistenza diretta dalle forze speciali americane: questa è una nota importante, perché anche sotto quest’ottica di bilanciamento, possono essere letti i raid russi. E infatti, il generale Andrei Kartapolov, che dirige l’intera operazione militare russa in Siria, ha dichiarato che «le coordinate di tutti questi obiettivi ci sono state fornite da alcuni dei rappresentanti dell’opposizione», non indicando quali: sarebbero stati colpiti 24 obiettivi, comprendendo quelli di Palmyra, Deir Ezzor, Ithriya e Aleppo orientale. Poche ore dopo le parole del generale russo, dal Pentagono hanno fatto sapere che i piloti dei caccia americani hanno comunicato direttamente con i colleghi russi nei cieli sopra alla Siria: è la prima volta che viene diffusa un’informazione del genere dal 20 ottobre, dati in cui USA e Russia hanno firmato un protocollo di gestione per evitare incidenti durante i bombardamenti.

Una lista di nomi. Sarà una sorta di entusiasmo momentaneo uscito dall’incontro all’Imperial Hotel di Vienna, ma ieri Mosca ha anche fatto sapere di aver pensato una lista di 38 nomi provenienti dall’eterogeneo fronte dell’opposizione siriana. Figure da ospitare in un incontro da programmare per la prossima settimana a Mosca. La lista sarebbe stata passata ad Arabia Saudita e Stati Uniti per riceverne l’ok; Kommersant l’ha pubblicata in esclusiva: politici, intellettuali, capi clan sunniti, capi religiosi, sono questi coloro che Mosca considera partner negoziali.

LA PROPAGANDA RUSSA TROVA LA SPONDA RELIGIOSA

Se si considerano tutte insieme le dichiarazioni di Zakharova, il coordinamento con i ribelli sugli ultimi raid e la lista di nomi delle opposizioni, si palesano cattivi presagi per Bashar el Assad e si può supporre che la Russia abbia già chiara la strada da percorrere per togliere dalla scena il presidente siriano.

Questo genere di posizioni, accentra su Mosca anche le attenzioni internazionali, e rappresenta altra benzina per il motore presidenziale. Putin cerca più di tutto di tenere al massimo il consenso interno, compie gesti che ne aumentano la popolarità, cerca sponde in ogni settore della società russa: un esempio, il mondo religioso a cui dedica alcune ore della sua impegnatissima giornata di festa odierna. Il tutto con un probabile ritorno d’interesse, chiaramente politico.

Esempio, si diceva. Il 16 ottobre in una dichiarazione ufficiale della Chiesa ortodossa russa, l’intervento di Mosca in Siria a sostegno del regime di Damasco, è stato definito una «guerra santa». Inutile dire che queste parole, sebbene non troppo riprese dai media internazionali, hanno scatenato una certa inquietudine nella regione per le possibili ripercussioni sui cristiani (di qualsiasi rito).

Il Mashriq, “il luogo dove sorge il sole”, la regione araba che comprende Libano, Palestina, Giordania, Siria e Iraq, è abitato da una buona componente cristiana, che ha radici storiche e che nonostante questo è tornata a vivere un periodo molto complicato, viste le (nuove) persecuzioni subite dall’instaurarsi del Califfato siro-iracheno. Dunque tutto serve meno che le evocazioni pericolosissime di Mosca. Infatti la regione mediorientale non è certo nuova a richiami di “guerre sante”, che di solito si riferiscono al jihad, ma le parole uscite da Mosca sono state più sorprendenti, perché arrivano dalla bocca di un’autorità religiosa cristiana e dunque complicano ancora la situazione, evocando passaggi storici tremendi come quello delle Crociate; una ferita profonda nella memoria collettiva di tutti i popoli del Medio Oriente.

Alcuni osservatori hanno fatto notare come quello della “guerra santa” in difesa delle minoranze fosse un argomento già usato più volte dal presidente siriano Bashar el Assad, che ha utilizzato il laicismo di fondo del suo partito politico, il Baath, per puntellare le sue parole. Altri hanno evidenziato anche il doppio standard della Chiesa russa, che nel 2003 aveva condannato l’invasione dell’Iraq da parte degli americani, richiamando messaggi di pace, mentre in questo momento sostiene l’intervento militare di Mosca definendolo una “guerra santa”. E intanto Putin oggi è al forum ecclesiastico, per celebrare il nazionalismo e la Madonna di Kazan.

 


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