Il viaggio in Africa ha visto ieri il Papa in Uganda, un Paese molto ricco di storia e caratterizzato da lacerazioni tremende.
Nei vari appuntamenti, senza dubbio, il momento più intenso è stata la messa che il Santo Padre ha celebrato per i morti della fede, al Santuario dei Martiri nazionali di Numugongo.
Con la consueta intensità spirituale, e con la consapevolezza di essersi messo con tutto se stesso nella loro strada, il Papa ha ricordato il sacrificio che la Chiesa ha dovuto vivere e sta continuando a subire in tutti i posti del mondo. In particolare lì si sta consumando quel fenomeno struggente e spesso dimenticato di ecumenismo del sangue, vale a dire il martirio di tantissimi cristiani di confessioni diverse, soprattutto cattolici e anglicani, che sono massacrati dall’intolleranza politica e religiosa.
Un aspetto interessante che Francesco ha ricordato tra le righe è che il martirio in sé rappresenta la massima attuazione della fede personale, esprimendo il vertice della fortezza, la quale è una virtù, come insegnava Tommaso d’Aquino, che si esercita proprio mantenendo salda la propria convinzione davanti alle minacce e alle persecuzioni inflitte.
In questo senso il martirio rappresenta esattamente l’opposto del terrorismo e del suicidio, mostrando passivamente, nella sopportazione di una sofferenza totale, la fermezza della propria pubblica adesione alla verità creduta.
Questi testimoni offrono pertanto una splendida testimonianza della fede e un motivo di coraggio per coloro che, anche a Parigi, in Europa e in Occidente, vedono sottratta la loro vita dalla violenza e dall’intolleranza selvaggia di una follia omicida.
Naturalmente a rendere possibile la fedeltà fino al martirio di un credente non è una semplice forza caratteriale o muscolare di tipo naturale, ma la soprannaturalità di un dono spirituale che dà al santo il potere di resistere fino alla morte, in modo volontario e cosciente.
Il dono dello Spirito Santo perciò è stato al centro della meditazione di Bergoglio. In tempi pericolosi vi sono dappertutto e costantemente eroi miracolosi, come Joseph Mkasa e Charles Lwanga, che hanno istruito i più giovani alla pratica dell’amore, restando fedeli appunto incondizionatamente al bene.
Davanti, quindi, a tanta ostilità verso il Cristianesimo, il Papa ha voluto ricordare a tutti che non bisogna avere timore, tenendo unita la propria vita all’esempio di questi grandi cristiani che non sono stati sconfitti dal male, ma lo hanno annullato nella propria identificazione con la Croce.
Molto interessante, analogamente a quanto avvenuto in Kenya, è stato poi l’incontro con i giovani ugandesi, a Kololo Air Strip nei pressi di Kampala. Nella dialettica di domande e risposte Francesco ha indicato la strada da seguire, che consiste nel trasformare sempre il negativo in positivo. Nella Casa della Carità di Nalukolongo, Francesco ha invitato a vivere a pieno la propria fede, infatti, non restando a guardare ma praticando concretamente l’amore e la dedizione verso i malati e i poveri.
Di là da tutto, il cuore del messaggio del Papa è stato esattamente quello che egli ha espresso al Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, un paese confinante con l’Uganda e martoriato da una guerra civile interminabile, specialmente nelle regioni del Grande Alto Nilo. In tale occasione, sfruttando la vicinanza e la confessione cattolica del capo di Stato, Francesco con realismo ha voluto lanciare alcune significative parole di speranza affinché le lotte intestine, spesse volte dominanti in questa zona dell’Africa, lascino il passo in futuro a soluzioni meno distruttive e tragiche.
Il mondo, in fin dei conti, appare ovunque segnato dal sangue. E perciò Bergoglio ha voluto puntare con la propria presenza i riflettori globali su un continente che è l’emblema del dramma che un po’ ovunque si sta vivendo, anche se, fortunatamente, in maniera non sempre così radicale. Soltanto se cambierà la mentalità, e se finalmente l’ascolto, la tolleranza e la disponibilità reciproca prenderanno il sopravvento sul sopruso e la cancellazione dell’altro, allora sarà possibile avere una pace autentica, costruita per l’appunto sulla potenza umile e misteriosa del martirio, il quale insegna come ogni dolore ingiustamente subito generi ineluttabilmente un cambiamento della sensibilità collettiva verso la dignità umana, creando così le condizioni per un incisivo progresso della civiltà.