Grane di tutti i colori oltre Tevere, dove svolazzano corvi, un monsignore infedele finisce in galera e il Papa sembra che non possa fidarsi neppure del suo telefonino.
Ci mette del suo anche Famiglia Cristiana, il diffuso settimanale paolino già incorso altre volte nelle critiche del Vaticano e dintorni per il suo disinvolto impegno politico, considerato troppo di sinistra, per esempio, dall’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana Camillo Ruini.
Si è appena svolta una curiosa e inquietante polemica fra la rivista diffusa in tutte le parrocchie italiane e l’ex ministro Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro di Aldo Moro e l’eccidio di via Fani. Dove il 16 marzo 1978 lo statista democristiano, a poche centinaia di metri da casa, fu rapito dalle Brigate rosse in un agguato che costò la vita a tutti gli uomini della sua scorta.
Alla strage seguì dopo 55 giorni di drammatici ultimatum anche l’assassinio dell’ostaggio, ucciso nel bagagliaio di una Renault rossa parcheggiata nel garage della palazzina di via Montalcini dove il presidente della Dc era stato tenuto prigioniero. Ucciso di prima mattina, quando mancavano poche ore ad una importante riunione della direzione nazionale dello scudocrociato, ma soprattutto ad un appuntamento preso dall’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone con il suo ex allievo universitario e ministro della Giustizia Francesco Bonifacio per la firma della grazia alla terrorista Paola Besuschio. Che era compresa nell’elenco dei tredici “prigionieri” con i quali le Brigate rosse avevano reclamato di scambiare il loro ostaggio.
La scelta della Besuschio fu fatta personalmente da Leone, come da lui stesso raccontato in una intervista al Foglio da me raccolta e pubblicata il 20 marzo 1998, perché malata e non macchiatasi di sangue, condannata solo per associazione eversiva. Con quella grazia, cui Leone si era predisposto di sua iniziativa, pur sapendo di un veto posto al governo dal partito comunista, che faceva parte della maggioranza, al Quirinale si intendeva compiere l’ultimo disperato tentativo di fermare gli assassini, magari aggravandone i contrasti interni. Già i servizi segreti avevano saputo o intuito che i vertici delle Brigate rosse si erano spaccati nella decisione di uccidere il prigioniero, quando maturarono la convinzione che non ci sarebbe stato cedimento di sorta da parte del governo, paralizzato appunto dal veto del Pci.
“A delitto consumato – mi disse Leone nella sua villa all’Olgiata – mi convinsi che i brigatisti fossero al corrente di quel che stava maturando e, non volendo la liberazione di Moro, avessero affrettato quella mattina l’assassinio”. “Questi brigatisti – disse Leone, ancora sconsolato – si mostrarono troppo informati”.
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Di quell’intervista di Leone, ma anche di molti altri elementi nuovi e vecchi, acquisiti pure dall’ultima commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi impunite presieduta da Giovanni Pellegrino, e conclusasi con l’inutile richiesta alla Procura di Roma di riaprire le indagini sul sequestro di Moro, si stanno occupando i commissari guidati dall’onorevole Fioroni. Che ha accolto l’occasione offertagli dall’appoggio di Famiglia Cristiana alla “toccante esperienza del percorso di riconciliazione tra ex terroristi e familiari delle vittime” per ribadire in una lettera al direttore don Antonio Sciortino che “le ombre ancora gravanti sulla tragedia del 16 marzo 1978 non possono essere archiviate né consegnate al ricordo e al dolore dei familiari delle vittime”.
Dopo avere assicurato che “ci stiamo concentrando su questo fine, senza inseguire complotti o dietrologie, ma colmando le zone d’ombra, tangibili e indiscusse nelle nostre ricostruzioni”, Fioroni si è rivolto “a quei lontani protagonisti, ex terroristi oggi impegnati in quel percorso di riconciliazione: trovate il coraggio di parlare e di illuminare ciò che è oscuro”. “Oltre la verità giudiziaria, c’è qualcosa di più”, c’è “un vuoto” – ha scritto ancora Fioroni – che a questo punto può essere colmato solo dagli ex terroristi, che evidentemente non hanno detto tutto, hanno nascosto e nascondono ancora qualcosa. Essi dovrebbero finalmente sentire “l’amore della verità”, non essendoci dall’altra parte “sentimento di vendetta o ricerca di punizione”.
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A questa lodevole lettera di Fioroni è seguita una stizzita risposta del settimanale che, oltre a contenere il buffo refuso di un “onorebole”, al posto di onorevole, porta non la firma del direttore Antonio Sciortino ma le iniziali “A.V.”, corrispondenti forse a quelle della vice caposervizio Annachiara Valle, forse interessatasi particolarmente al già ricordato “percorso di riconciliazione tra ex terroristi e familiari delle vittime”.
Sentite che cosa Famiglia Cristiana ha replicato tramite A.V. a Fioroni: “Per far luce ancora di più su quegli anni ci auguriamo però che, più degli ex brigatisti, comincino a parlare coloro che, nello Stato, hanno avuto ruoli e incarichi, e che siano resi accessibili gli archivi che ancora trattengono qualche segreto”.
Questi messaggi a dir poco allusivi, e così comprensivi verso le reticenze dei terroristi, lasciano senza parole, e senza fiato.