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Così Papa Francesco a Firenze ha silurato il ruinismo

Il lungo discorso pronunciato dal Papa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, davanti ai vescovi italiani riuniti per il Convegno ecclesiastico nazionale, rappresenta una svolta nella politica seguita dalla Cei rispetto alla pluridecennale stagione avviata da Giovanni Paolo II al Convegno di Loreto, nel 1985. E’ questa la lettura che la maggioranza dei commentatori dà rispetto alle parole di Francesco.

“NESSUNA RIVOLUZIONE”

Autorevole voci fuori dal coro è quella rappresentata da Gianni Valente, che su Vatican Insider ha scritto che l’assemblea di Firenze 2015 “non è la versione bergogliana di quella che si tenne a Loreto nel 1985”. In particolare, scrive Valente, “Papa Francesco non ha presentato nessun progetto rifondativo da mettere in campo, nessun articolato disegno di rivoluzione papale”. Tesi che sarebbe suffragata dal passaggio in cui il Pontefice ha asserito di non voler “disegnare in astratto un nuovo umanesimo, una certa idea dell’uomo”, visto che – a giudizio di Bergoglio – “i tratti autentici dell’umanesimo cristiano coincidono semplicemente con i sentimenti di Gesù Cristo”. In sostanza, il discorso del Papa non sarebbe altro che una riproposizione in termini elementari di una “sorta di minimalismo evangelico”. Per chiarire meglio l’assunto, Valente scrive che “suggerendo la via del minimalismo evangelico e senza intentare processi al passato, il Successore di Pietro dismette senza accanimento linee di pensiero e riflessi condizionati che per lungo tempo hanno ispirato il linguaggio e le scelte degli apparati ecclesiali in Italia”.

“NON C’E’ UN LOW PROFILE”

Non concorda, dalle colonne del Foglio, Maurizio Crippa. “Gianni Valente scrive su Vatican Insider che ‘Papa Francesco non ha presentato nessun progetto rifondativo da mettere in campo, nessun articolato disegno di rivoluzione papale’. Lettura in cui ovviamente c’è del vero, Bergoglio ha indicato molto il Vangelo, non ha fissato una road map né proclamato una rivoluzione: ma eccede nell’accreditare un low profile che in realtà non c’è”, scrive il vicedirettore del quotidiano diretto da Claudio Cerasa. A giudizio di Crippa, “il discorso di Bergoglio alla Chiesa italiana non è stato soltanto un indirizzo pastorale, o un puro richiamo evangelico. Segna una svolta di linguaggio”. Elementi questi che portano a ritenere che il discorso di ieri rappresenti “una svolta strategica (parola che Bergoglio detesterebbe) e di indirizzo (idem). La segna rispetto al convegno di dieci anni fa a Verona, che si barcamenò tra tentativi blandi dei progressisti di contrastare la linea generale ratzingeriana-ruiniana e una sostanziale conferma della stessa. E rispetto a Loreto 1985, dove al centro dell’azione fu messa un’idea di chiesa militante, associazioni e movimenti. In più la famiglia, e la necessità di presenza nello spazio pubblico”.

LA FINE DEL COLLATERALISMO CON LA POLITICA

Scrive Paolo Rodari su Repubblica che il discorso del Papa di ieri segna la fine del “ruinismo”, ossia degli “anni di collateralismo con la politica, e in particolare con il centro-destra di Silvio Berlusconi, e di protagonismo sulla scena pubblica con battaglie sui ‘valori non negoziabili’ sfociate in lotte sulla bioetica e sulla famiglia, con una piazza che ebbe il suo apogeo nel Family Day del 2007 con tanto di movimenti ecclesiali schierati in prima fila”. Beninteso, aggiunge il vaticanista del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, “quest’idea di Chiesa è stata dismessa non da ieri. Già prima dell’avvento di Bergoglio al Soglio di Pietro il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato una strada diversa, una Chiesa meno barricata sulla difensiva, meno battagliera e più spirituale”.

UNA CHIESA INQUIETA

A colpire Luigi Accattoli, sul Corriere della Sera, è stato il finale del discorso papale, soprattutto l’accenno a una “Chiesa inquieta”. Quel ‘mi piace’, ha scritto Accattoli, “va letto: mi piacerebbe. Sappiamo da altre sue uscite che la Chiesa italiana non gli sembra abbastanza mossa. Ma va anche detto che ‘inquietudine’ è una delle parole più amate da Bergoglio, una parola simbolo”. E’ verosimile, scrive ancora, “che la Chiesa italiana gli sembri più accomodata che inquieta. Una volta ha affermato che un credente dev’essere ‘sempre inquieto’ e solo così potrà raggiungere ‘la pace dell’inquietudine’, che è uno splendido ossimoro”.

LA FINE DEL RUINISMO

La “vera notizia”, commenta Andrea Tornielli sulla Stampa “questa volta sta nelle ultime righe del testo papale. Francesco, dopo aver ripetuto che non sta a lui tracciare il nuovo percorso della Chiesa italiana ha fatto un’unica richiesta: ‘In ogni comunità, in ogni parrocchia, in ogni diocesi, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni’. Ora, quella esortazione, vero documento programmatico del pontificato, è stata pubblicata già due anni fa. Se il Pontefice invita a riprendere in mano quel testo evidentemente ritiene che la Chiesa italiana non l’abbia fatto o non l’abbia fatto abbastanza”.

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