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Così l’ex ministro Visco fa le pulci ai numeri di Padoan

E’ stato pubblicato ieri dal Nens, il centro studi fondato da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani, il Rapporto sugli andamenti della finanza pubblica che esamina congiuntamente l’aggiornamento del Def ed il disegno di Stabilità presentato dal Governo. Il documento non lascia indenne da critiche nessuna scelta del Governo. Anche il Ministro dell’economia ha precise responsabilità, ad esempio in ordine alla “sovrastima delle previsioni di crescita”: quelle congiunturali per l’anno in corso sarebbero state euforicamente aggiornate sulla base delle tendenze del secondo trimestre, poi contraddette dalle rilevazioni più recenti e forse compromesse definitivamente dalle conseguenze dell’allarme terrorismo; quelle a medio termine, invece, sono sistematicamente superiori rispetto ai dati del consenso di Ocse, Fmi ed Istat.

Come se non bastasse, anche l’andamento dell’inflazione sembra essere stato costruito in modo da compensare la minore crescita del Pil contenuta nell’aggiornamento del Def 2015 rispetto alla stesura di marzo: “Il deflatore del Pil disegna un andamento ad ‘U’, decrescente nel 2016 (-0.5%), costante nel 2017 e crescente a tasso costante (+0.2%) nel 2018 e 2019”. L’aumento dell’inflazione in questi ultimi due anni “aggiusta” la dinamica attesa del Pil nominale riportandola sullo stesso sentiero di espansione previsto dal DEF 2015. Verrebbe da aggiungere che la maggiore dinamica dell’inflazione contribuisce, innocentemente, a rispettare la regola del debito prevista dal Fiscal Compact.

Sulle prospettive delineate dal Def e sulle strategie del Governo, il Rapporto non potrebbe essere più duro: “Le previsioni programmatiche appaiono poco credibili, specialmente laddove agli effetti della manovra si aggiunge la presunta maggior crescita proveniente dalle riforme”. Afferma, inoltre, che “la politica economica del Governo non appare in grado di rendere strutturale l’attuale fase di accelerazione della crescita economica che sta caratterizzando il 2015. Piuttosto, l’effetto complessivo delle misure che il Governo si appresta a varare con il prossimo Disegno di Legge Stabilità è paragonabile ad una ‘fiammata’ di breve periodo, inesorabilmente destinata a spegnersi nel corso di 36 mesi”.

L’impostazione sarebbe completamente sbagliata, “e questo non tanto per la mancanza di interventismo da parte del Governo, quanto per la filosofia di fondo che caratterizza la politica economica dell’Esecutivo Renzi, il quale trascura volutamente la possibilità di generare maggiore crescita attraverso la ripartenza degli investimenti pubblici per privilegiare misure molto più popolari ma a basso moltiplicatore come, ad es., il bonus 80€, il taglio dell’Irap sul cuneo fiscale o l’abolizione di IMU e TASI su prime case e terreni agricoli”. E’ evidente, a questo punto, che le critiche del Rapporto sull’eccessivo ottimismo delle previsioni di crescita derivano direttamente da quelle portate alle scelte politiche, e come queste ultime siano a loro volta giustificate da un basso moltiplicatore.

Per quanto riguarda il 2016, infatti, la manovra “consiste in una riduzione netta di entrate (tasse) di 3,3 miliardi compensata da un taglio di spesa pubblica di poco superiore: 3,5 miliardi (lo 0,2 % circa del Pil). E’ difficile quindi ritenere che l’effetto netto dell’operazione risulti particolarmente efficace o espansivo”.
L’eredità lasciata agli anni venturi sarebbe assai pesante, visto che il cuore della manovra consiste nel maggior ricorso al deficit e nel rinvio degli aggiustamenti strutturali, rappresentati dalla spending rewiew e dall’adozione in alternativa delle clausole di salvaguardia, con l’aumento delle accise e dell’Iva. Le clausole di salvaguardia vengono azzerate solo per il 2016, e riproposte in forma attenuata a partire dal 2017, utilizzando i proventi della voluntary disclosure ed altre misure una tantum.

Le ultime due critiche riguardano il taglio dell’IMU/TASI sui terreni agricoli e l’assenza di misure a sostegno del Sud. Nel primo caso, si rileva che l’agricoltura è un comparto già fortemente sussidiato dalle politiche europee, e che i 935 milioni di sgravio avebbero dovuto essere destinati più proficuamente al settore manufatturiero che invece è alle prese con una durissima competizione internazionale. Nel secondo caso, il Rapporto dà atto al Mef che è in fase di elaborazione un Masterplan che contiene “un mix di leve fiscali e non fiscali a favore dello sviluppo che in casi come quelli del Sud-Italia potrebbero effettivamente fungere da propulsore della crescita” Sarà però necessario stipulare ben 16 “Patti bilaterali” tra lo Stato e ogni singola entità territoriale (regioni e aree metropolitane): dunque, la possibilità che ci siano risultati all’inizio del 2016 appare dunque azzardata.

In conclusione, secondo il Rapporto non si conduce ancora una vera lotta all’evasione fiscale, ma anche lo spostamento del focus dell’imposizione fiscale dai fattori di produzione al consumo, tanto auspicato dalla Commissione Europea e dalla Banca d’Italia, ha l’effetto di redistribuire il carico fiscale in modo da accrescere il reddito delle imprese e di ridurre il reddito disponibile delle famiglie. Una critica, questa, davvero da sinistra.

Il Rapporto del Nens contiene molti spunti di analisi e di proposta, ma c’è da temere che sarà rapidamente archiviato: ancor prima della rottamazione della vecchia classe dirigente, politica e burocratica, sono state rottamate le regole che consentivano una proficua discussione parlamentare. Siamo a fine novembre, un periodo che secondo le tradizioni avrebbe dovuto essere di fuoco per il dibattito sulla manovra economica ed invece non si riesce ad avere neppure una nota di cronaca. Anche gli aggiustamenti appena proposti dal Governo alla manovra, al fine di incrementare le spese per Forze Armate e Polizia dopo gli attentati di Parigi, sono stati liquidati con una battuta: “per ogni euro in più alla sicurezza, un euro in più va alla cultura”. Ivi compreso il bonus da 500 euro a testa per chi compie diciotto anni, da spendere in teatri, musei e cinema: la “social card” in versione smile.
Ormai si sa: i Governi fanno ciò che vogliono, e non da ora.

Tecnici e politici, di emergenza o meno, tutti si sono voluti sottrarre al confronto. E’ inutile discutere, presentare emendamenti, votare testi, perché tanto all’ultimo momento si presenta un nuovo testo in Aula che riscrive tutto: viene accontentato solo chi fa lobby, chi si è arruffianato per tempo. La discussione parlamentare è diventata un rito, perché il testo è già stato recitato. E’ come nel film di Nanni Moretti: “…Oggi è il nostro ultimo spettacolo…. e come verifica del nostro lavoro… noi avevamo pensato… volevamo fare un dibattito…”. No, il dibattito no!

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