È stato di natura equestre l’ultimo sogno di Ignazio Marino con la fascia tricolore di sindaco di Roma addosso, o il primo da ex sindaco della Capitale, rimosso davanti a un notaio – si è doluto – con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali eletti con lui due anni e mezzo fa.
Il poveretto deve avere sognato Matteo Renzi al posto di Giuseppe Garibaldi sul cavallo del monumento risorgimentale al Gianicolo. O al posto del bersagliere al passo di carica sul monumento di Porta Pia.
“Voleva Roma e l’ha presa”, ha detto infatti Marino traducendo a modo suo il grido garibaldino di “Roma o morte” e accusando il giovane fiorentino presidente del Consiglio di avere voluto e organizzato il suo disarcionamento dal Campidoglio. Dove c’è un’altra statua, quella di Marco Aurelio, sulla quale l’ex sindaco può magari sognare, come in un incubo, di vedere prima o poi scolpito Matteo Renzi.
Non è mai venuto in mente, al chirurgo dei trapianti prestatosi ad un surrogato della politica, visto che lui stesso dice di detestarla, di averci messo molto del suo a consumare in poco tempo il credito elettorale guadagnatosi nel 2013 in una città inconsapevole dei guai che ne avrebbe ricavato. E a chiudere l’esperienza capitolina facendosi dare del bugiardo anche dagli assessori mandati inutilmente nella sua giunta proprio da Renzi, e da lui accettati entusiasticamente, per cercare di rafforzarla di fronte allo spettacolo offerto dai disservizi pubblici e dalle ricadute dell’inchiesta giudiziaria nota, a torto o a ragione, come Mafia Capitale. Assessori, quelli messigli a disposizione da Renzi, che Marino riterrà ora, per restare nel recinto delle immagini equestri, come mandatigli in Campidoglio in una riedizione del cavallo di Troia.
Un uomo davvero fortunato, questo Renzi. Riesce a trovare sulla sua strada avversari che lavorano di giorno e di notte per lui con le loro sparate controproducenti: da quel che resta della minoranza del Pd a quel che resta del centrodestra, da Pier Luigi Bersani a Miguel Gotor, che non è un torero ma uno storico prestato al Senato, da Matteo Salvini a Silvio Berlusconi, e a Marino. Per il quale sembra che il Papa, pur alle prese con tanti guai, tra corvi e serpenti, riesca a trovare di tanto in tanto anche il tempo di pregare, come in un antipasto del Giubileo della Misericordia, fortunatamente scampato alla partecipazione di Marino come sindaco. Anche se il Pontefice aveva già preso le dovute precauzioni anticipando e organizzando l’apertura della prima Porta Santa ben lontano da Roma.