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Turchia, tutte le ambiguità del sultano Erdogan

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I recenti fatti di terrorismo, opera di coloro che usano il nome di Dio nel perpretare incommentabili vigliaccate, e le reazioni della comunità internazionale, e delle opinioni pubbliche europee ed arabe, sta mettendo a nudo il comportamento reale e osservabile dei vari attori.
Non ci sono sempre i servizi ed i maneggi occulti, non ci sono solo complotti o disegni strategici che possono sembrare ambigui; ci sono invece i governi, più o meno democraticamente eletti, e questi sciagurati che però non possono essere definiti solo come pazzi: essi sono islamici, una filiera modesta, crediamo, ma esistente. Infatti è documentato che pregano molto, digiunano e combattono, oltre a violentare le donne e non solo quelle non musulmane.

Dopo le esternazioni di Tony Blair e quello che più o meno si sapeva, si vede bene come l’Occidente abbia le sue responsabilità nella destabilizzazione del Medio Oriente e degli equilibri, sempre piuttosto precari dalla loro creazione artificiale alla fine del secondo conflitto mondiale, nell’area siro-irachena. Non serve dunque invocare misteriose e apotropaiche presenze, non aiuta a chiarire le idee, le tattiche e le strategie dei vari attori.
Le armi, e tante, vendute da tutti i Paesi rilevanti compresa l’Italia, il petrolio collocato sottocosto dal Daesh, con la Turchia buon acquirente, i doppi fini di tante iniziative dei russi, degli americani e dei turchi non passano inosservate. A Roma si direbbe “che volemo fa’?”

Si potrebbe dire che la multi vettorialità della eclettica e resiliente politica estera turca, compresa quella economica, abbia perso uno a uno le dita di una mano proteiforme che si allungava sul Mediterraneo, sull’Asia centrale, sull’Africa e, perché no, sull’Europa.
Avremmo voluto avere ora una Turchia equilibrata, soprattutto al suo interno con un’attenuazione delle laceranti divisioni socio-politiche della gente turca, che avesse potuto dispiegare le sue capacità di mediazione e di crisis resolution portando certezze e mettendo a disposizione risorse nella tormentata area:
– togliersi immediatamente dall’ambigua situazione che l’ha probabilmente vista, in anni non lontani, sostenitrice delle varie fazioni anti-Assad, tra cui anche im nuce gli odierni al-Nusra e Daesh;
– assumere un atteggiamento nei confronti dei Curdi che porti ad attenuare le storiche asperità e prenda atto del successo del movimento di Demirtas, che oramai è nel Majlis e ci rimarrà;
– gestire con proprietà il deflusso dei profughi dalla Siria concertando tempi e modi con gli Europei che a loro volta hanno dovuto affrontare un fenomeno abnorme ed imprevisto;
– divenire la base logistica di operazioni concordate ed efficaci di un largo fronte anti-Daesh, arrivando anche con russi, pasdaran iraniani, peshmerga curdi (visto il buon rapporto che hanno con la regione curdo-irachena libera dal Daesh), occidentali e Arabi a mettere i boots on the earth per togliere di mezzo, ed il prima possibile, un fenomeno inquietante che cerca ogni giorno di accreditare la propria statualità;
– favorire strategicamente il riavvicinamento Iran – Usa perché si riconoscano i meriti innegabili di Teheran – che non cancellano colpe e manchevolezze anche gravi della Repubblica Islamica – nell’aver sempre contrastato al-Qaeda, i Taliban ed ora il Daesh, con una visione veramente profonda del proprio ruolo nell’area; invece la Turchia sembra “invidiosa” dell’Iran e certamente l’atmosfera che si respira oggi a Teheran è molto più tranquilla e propositiva di quella di Ankara, ed anche il moderato religioso presidente Hassan Rouhani ha un appeal verso gli Occidentali decisamente migliore di quello di Erdogan;
– tessere una tela di stabilità e di sicurezza con l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi perché l’asse Ankara – Cairo può essere determinante per la pace e lo sviluppo dell’intera area; nel contempo alimentare il dibattito che riconosce nei fatti una operazione di “depredazione” dell’area sunnita compresa tra Baghdad e Raqqa cui si voleva togliere tutto e che ha reagito in vari modi, tra i quali anche con la creazione di un sedicente Stato islamico, o addirittura un califfato, che di quello Omayyade o Abasside o Osmanli evoca sola l’effetto di una caricatura;
– dare in estrema sintesi, quella immagine di un Islam democratico e moderato che può interagire con l’Europa e dialogare con tutto il Medio Oriente, non in nome di un neo-ottomanesimo o di una presunta potenza regionale e muscolare, ma per stabilizzare la pace nell’area che sola può permettere di dispiegare le opportunità economiche presenti generosamente in quel quadrante geostrategico, il nodo più nevralgico del mondo.

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