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Cosa cambia per l’Italia con i droni armati. Parla il generale Tricarico

Una nota della Defense Security Cooperation Agency americana ha confermato le indiscrezioni della Reuters: il dipartimento di Stato americano ha approvato la richiesta dell’Italia, presentata nel 2012, di armare due suoi droni MQ-9 Reaper con missili aria-terra Hellfire, bombe a guida laser e altre munizioni. Un accordo dal valore di 129,6 milioni di dollari, che doterà Roma di nuovi strumenti operativi.

Quando e come saranno utilizzati? In quali teatri? E con quali implicazioni politiche ed industriali?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, oggi presidente della Fondazione Icsa.

Generale, perché gli Usa hanno dato il via libera per armare i nostri droni in questo momento? E come mai solo all’Italia, con altri Paesi in attesa?

Roma si è interessata per prima a questi mezzi, proprio insieme a Washington. Basti pensare che l’Aeronautica Militare li utilizza da ben undici anni. È dal 2012 che il nostro Paese aveva inoltrato questa richiesta, quindi a mio parere è arrivata dopo un tempo già sufficientemente lungo. A ciò va aggiunto che l’Italia non è una nazione qualsiasi e che il suo contributo è costante e apprezzato in moltissime missioni internazionali di pace. Siamo un membro importante della Nato e uno dei più affidabili sul versante transatlantico.

Alcuni osservatori sostengono che la vendita possa essere stata accelerata dal deterioramento dello scenario libico.

Non lo ritengo un driver, anche se è indubbio che, in caso di necessità, sarebbero utilissimi anche lì.

Di che numeri parliamo? E quali sono i tempi di consegna?

Attualmente abbiamo due General Atomics MQ-9 Reaper, conosciuti anche come Predator B. A differenza dei sei Predator A che pure abbiamo, i Reaper si possono armare. Ci sono tempi burocratici e tecnici incomprimibili e altri che è possibile accelerare. Verosimilmente alcuni mesi. Il Congresso Usa, informato martedì sera, ha quindici giorni per bloccare la vendita, ma raramente, una volta ottenuto il consenso del governo, le trattative vengono interrotte. Dopo il via libera per la foreign military sale (la vendita di armamenti a un altro Paese, ndr) bisognerà integrare il sistema e preparare gli equipaggi. Alcuni sono già addestrati. Certo, se il ministro della Difesa dicesse che si sta per emanare una risoluzione Onu su Libia, l’Aeronautica Militare potrebbe stringere i tempi. Ma al momento non vedo urgenze che giustifichino ciò.

In quali teatri li vedremo volare?

Sono strumenti fondamentali in ogni contesto asimmetrico, come quello iracheno, dove i nostri droni sono già operativi, sebbene non armati.

Come sono stati impiegati fino ad ora i nostri droni?

Finora ci siamo limitati, giocoforza, ad attività d’intelligence e sorveglianza. Se li avessimo avuti in Afghanistan, ad, esempio, avremmo sicuramente potuto evitare alcune dolorose perdite umane. In più d’una occasione, la mancanza di armamento ha costretto i nostri contingenti a terra a bonificare alcune zone dagli ordigni esplosivi. Mentre sarebbe stato molto più semplice e meno rischioso farlo per via aerea.

Come saranno utilizzati d’ora in poi?

In futuro potrebbero tornare utili anche nel contrasto all’immigrazione clandestina. Chi non ne conosce l’impiego e le caratteristiche continua a ripetere che i droni non si possono utilizzare per colpire i barconi prima della partenza. Chi lo dice non sa di cosa parla. La permanenza illimitata e a basso costo consentita da questi velivoli su particolari aree di interesse, permette di discriminare finemente lo scenario di terra e le intenzioni di chi è a terra. Cioè di valutare con certezza se ci si trovi di fronte ad attività preparatorie dell’imbarco di disperati o a una battuta di pesca. È chiaro che, in casi controversi, non si spara. Alcuni operativi, prima di esprimersi sull’argomento, si dovrebbero dotare degli strumenti culturali per utilizzare al meglio questo strumento.

Dal punto di vista industriale e tecnico, di che prodotti si tratta?

L’armamento sarà compatibile con una capacità di carico tutto sommato ridotta. Gli Hellfire, i missili di Lockheed Martin che avranno in dotazione i droni, non saranno armi pesanti, ma sicuramente guidate e precise. Quanto ai Reaper di General Atomics li utilizziamo già. Si tratta di prodotti affidabili, compresa la sensoristica, forse la parte più delicata.

Sul Corriere della Sera, Paolo Valentino ipotizza che la “cessione di tecnologia necessaria” ad armare i droni possa avere “un risvolto di politica industriale”, perché costituirebbe “un disincentivo a proseguire nei programmi europei” per realizzare degli Uav armati. È verosimile?

L’Italia, volendo, ha la tecnologia e il know how sufficienti per costruirli da sola. Certo, ciò può costituire un ulteriore disincentivo a percorrere questa strada. Ma di fatto c’è una sonnolenza europea e nazionale, sul tema, già da diverso tempo. Ed è un grave errore, perché, Reaper armati a parte, c’è una condivisione generale che i droni saranno al centro della dottrina militare del futuro. Probabilmente lo sono già adesso. Non sviluppare capacità proprie, a prescindere dagli alleati, è profondamente sbagliato.



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