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Vi racconto le corbellerie di Todt, Rossanda e Ingroia

Per fortuna non è toccato a un italiano, per quanto Umberto Veronesi ci sia andato molto vicino sostenendo che occorra ormai trattare con il Califfato nero, ma curiosamente proprio a un francese, nato a Pierrefort quasi 70 anni fa, il  il peggiore infortunio nella valutazione della strage compiuta a Parigi dai terroristi del fantomatico Stato Islamico. È toccato a Jean Todt, noto in Italia anche per essere stato scelto a suo tempo da Luca Cordero di Montezemolo come manager della scuderia della magica Ferrari. Ora è presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile, che ha sede peraltro proprio a Parigi.

Monsieur Todt ha alla fine accettato che sul camion del giro di pista di apertura del Gran Premio automobilistico del Brasile sventolasse una bandiera francese listata a lutto per ricordare e onorare le tante vittime della strage a Parigi. Ma ha voluto prima precisare che “ogni giorno sulle nostre strade perdono la vita 3500 persone, 30 volte in più rispetto al numero di persone che sono morte negli omicidi di Parigi”. Si, avete letto bene: morti negli omicidi di Parigi. Come se fossero state casuali, quali sono gli incidenti stradali, le raffiche di mitra e le esplosioni dei terroristi imbottiti di bombe a Parigi per trascinarsi nella morte le persone scelte per mischiarvisi.

Alle 129 vittime della strage parigina, che peraltro mi sembrano meno delle trenta volte inferiori alle quotidiane vittime della strada che lo impressionano di più, Todt ha riconosciuto il diritto, sulla pista del Gran Premio Automobilistico del Brasile, a “un momento di attenzione”. Ripeto: un momento. Due sarebbero stati evidentemente troppi.

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Più umilmente di tanti suoi ex compagni italiani di partito, Rossanna Rossanda nella sua bella casa parigina ha ammesso di non avere “una linea”, cioè di non essersi fatta un’idea precisa sulle cause e sul modo come fronteggiare la guerra dichiarata a mezzo mondo, se non a tutto, dal fantomatico Stato Islamico.

L’umiltà della Rossanda, che si porta con la solita eleganza i suoi 91 anni, è pari alla coraggiosa onestà con la quale commentò nel 1978 il sequestro di Aldo Moro e la strage della scorta ad opera di quelle che molti avevano definito sino ad allora “sedicenti” le brigate rosse. La signora scrisse sul Manifesto che per il contenuto dei loro deliranti comunicati e le loro storie personali, che aveva evidentemente intuite, quei terroristi andavano cercati nel'”album di famiglia” della sinistra comunista.

Eppure Rossanda si è avventurata, dopo la strage a Parigi, in una lettura un po’ avventata del fenomeno crescente dell’immigrazione. Che certamente non può essere demonizzata tout court, ma neppure scambiata per la soluzione della crisi economica, sociale e finanziaria dell’Europa. Come sembra sperare Rossanda dicendo che, invece di considerare “decapitatori quanti varcano le frontiere” del vecchio continente, bisognerebbe apprezzarne l’aiuto che possono dare  a “una scossa a un’Europa basata sull’austerità”.

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Invece di marciare per le strade di Roma e di radunarsi infine nella piazza dei Santissimi Apostoli per sentirsi e proclamarsi parigini, alcune centinaia di manifestanti sabato scorso hanno voluto mettersi solidalmente e orgogliosamente nei panni di Nino De Matteo. Che è il magistrato di punta dell’accusa al processone in corso a Palermo contro fior di politici, generali e mafiosi per le trattative che più di vent’anni fa lo Stato avrebbe condotto con la mafia per cercare di fermarne le stragi.

Idealmente guidati da Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, che fu il magistrato fatto saltare in aria con la scorta dalla mafia perché contrario alla presunta trattativa , i manifestanti sono stati arringati, fra gli altri, da Antonio Ingroia, predecessore di De Matteo alla guida dell’accusa nel processone di Palermo.

Ingroia se l’è presa con il solito Giorgio Napolitano come “principale ostacolo” al processo e “il maggiore sponsor dell’assoluzione” già ottenuta, grazie a un rito talmente abbreviato da essere durato due anni, dall’ex ministro democristiano Calogero Mannino. Che “non ha commesso il fatto”, ha stabilito la giudice di primo grado, pur essendo stato, secondo l’accusa, addirittura il promotore della trattativa perché minacciato di morte dalla mafia.

Lo zampino di Napolitano, secondo l’ossessiva ricostruzione ingroiana dei fatti, potrebbe essere visto anche nella “condanna a morte” che, complice persino lo Stato, è stata decisa contro De Matteo da una mafia che avrebbe potuto già mettere da parte, senza incorrere in alcun controllo, i 200 chili di tritolo necessari all’attentato. Ma a Napolitano farebbe compagnia il successore Sergio Mattarella, con l’aggravante di essere siciliano, e palermitano in particolare. Per cui il presidente della Repubblica è stato avvertito proprio dai manifestanti pro-Di Matteo di aspettarsi proteste davanti al Quirinale e a casa sua, a Palermo.

Non ci crederete, ma al raduno romano infarcito di tutte queste nefandezze, largamente previste o prevedibili, il presidente del Senato Pietro Grasso, ex magistrato, ha ritenuto di mandare un messaggio di saluto, consegnato a Salvatore Borsellino. Che naturalmente ha ringraziato. Cosa che non possiamo né vogliamo fare noi.

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