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Perché per lo yuan nel paniere Fmi non rafforza troppo la Cina. Parla Pelanda

Con una mossa molto discussa, il Fondo monetario internazionale ha approvato lunedì l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva.

Quali sono le ragioni di questa scelta? Che effetti avrà dal punto di vista economico e politico? E quali saranno i passi successivi?

Sono alcuni dei temi analizzati in una conversazione di Formiche.net con Carlo Pelanda (nella foto) coordinatore del dottorato di ricerca in geopolitica e geopolitica economica dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ed editorialista di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza. Da novembre è nelle librerie un suo nuovo lavoro: Nova Pax (Franco Angeli editore).

Perché il Fmi ha incluso lo yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva?

È il ​risultato di un compromesso. La Cina voleva pesare di più nel Fondo. Gli Stati Uniti hanno detto di no, però le hanno dato la possibilità di usare la moneta come diritti speciali di prelievo (Dsp).

Come valuta questa mossa?

Washington ha agito senz’altro con molta intelligenza. In pratica ha detto alla Cina: non siamo riusciti a bilanciare la vostra posizione solo sul piano geopolitico, quindi proviamo a farlo sul piano economico-finanziario. Pechino non ha ancora valutato bene i rischi che comporta mettere la sua moneta in mano al mercato.

Alcuni osservatori credono che la mossa del Fmi sia dettata anche dal fatto che si teme che la Cina possa organizzarsi da sola come ha fatto con l’Aiib, la Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture.

Sulla banca è stato più facile, perché si tratta di un istituto che offre assistenza con denaro pubblico. Il Fondo invece definisce degli standard.

Cosa rappresenta per Pechino?

Siamo ancora lontani dal riconoscimento della Cina come vera potenza economica, intesa in senso occidentale. Per diventarlo, le democrazie dovrebbero riconoscerle lo status di economia di mercato. Ora, invece, può essere sottoposta a dazio in virtù di alcune sue anomalie. Di sicuro questo è un passo in avanti e include anche degli elementi di pericolosità.

Che pericoli intravede?

Abbiamo al centro del mercato globale un regime autoritario, che proprio per questo è molto instabile. Può implodere da un momento all’altro perché non è una democrazia. In Occidente i ricambi delle élite al potere avvengono naturalmente con le elezioni. In Cina esiste un meccanismo che prevede un avvicendamento controllato, ma produce scontri violenti. Nel nel 1989 ci furono i fatti di Piazza Tienanmen che altro non era che uno scontro tra due classi dirigenti. Una usava gli studenti, l’altra i carri armati. Nel 2012, con l’ascesa di Xi Jinping, c’è stato conflitto ancora più forte ben nascosto alla stampa. Ma ha prodotto l’epurazione di migliaia di persone, eliminate nel senso politico del termine. Senza contare tutti i problemi che comporta un’economia emergente gestita da un regime autoritario senza alcuna trasparenza.

Che effetti avrà, invece, sull’Occidente?

Comporterà una situazione difficile, ovvero una maggiore divaricazione tra interessi finanziari e manifatturieri. Londra vuole diventare la piazza per la diffusione dello yuan e la Cina l’ha scelta perché la considera una piazza “amica”. Mentre la manifattura vuole tenere sotto controllo la Cina perché non faccia dumping. Era un problema destinato ad esplodere dal ’96 quando Bill Clinton aprì a Pechino in modo bilaterale. Fu il preludio all’entrata della Cina nel Wto nel 2001, senza chiederle condizioni, come creare uno stato di diritto e un sistema finanziario trasparente.

Come possono reagire Usa ed Europa per limitare questi rischi?

Accelerare un processo già iniziato, ovvero l’incrocio di due aree di mercato, Ttip con l’Europa e Tpp con i Paesi asiatici. Insieme questi due blocchi rappresenterebbero il 70 per cento del Pil globale. La convergenza euro-dollaro farà il resto. Solo così si può attuare una vera strategia di condizionamento della Cina, che per non essere esclusa dovrà iniziare seriamente un processo riformatore.

Non lo sta già facendo?

La strada delle riforme imboccata dalla Cina è completamente fasulla. Al Partito comunista interessa tenere insieme autoritarismo ed economia di mercato, perché si è reso conto che il socialismo produce solo poveri. Ma al tempo stesso non vuole rinunciare al potere. Tuttavia questo progetto è irrealizzabile. Pechino non può pretendere di essere ammessa a giocare alla pari con l’Occidente quando non ha dei costi che noi invece sosteniamo come ad esempio un welfare degno di questo nome. Il Partito vuole mantenere lo status quo, non una vera democrazia. E allora l’Occidente fa bene a non accreditarla per quello che non è, ovvero un’economia aperta e libera.



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