Il Fondo monetario internazionale ha approvato ieri l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva. Quali sono le ragioni di questa scelta? E quali gli effetti dal punto di vista economico e politico?
LA STRATEGIA DI XI
La Cina, sottolinea il Telegraph, “ha fatto una forte attività di lobbying per far inserire la moneta nella lista”. Perché, rimarca, anche se fare parte del club non comporta particolari condizioni ed è in gran parte qualcosa di simbolico, “lo yuan contribuirà al valore del diritto speciale di prelievo (dsp) – una media ponderata delle valute – che il Fmi utilizza per stabilire il prezzo dei suoi prestiti d’emergenza”.
Tutto ciò, rileva il Financial Times (Ft), “arriva in un momento cruciale per la Cina, che sta subendo un significativo rallentamento della crescita e ha un crollo profondo dei mercati finanziari”. Episodi che hanno messo alla prova la leadership del presidente Xi Jinping e posto all’attenzione degli investitori i progressi delle riforme che Pechino si è impegnata a intraprendere.
LE CONSEGUENZE PER PECHINO
“Oltre al valore simbolico del riconoscimento alla Cina del ruolo di potenza economica”, spiega Alessandro Merli sul Sole 24 Ore, “l’inserimento dello yuan nei dsp ha alcune importanti conseguenze pratiche: dovrebbe infatti produrre un graduale flusso di fondi sullo yuan da parte delle banche centrali, dei fondi sovrani e delle altre istituzioni multilaterali, flusso che in parte è già cominciato (una settantina di banche centrali hanno investito parte delle loro riserve ufficiali in yuan). La sola riallocazione di un 1% delle riserve internazionali sullo yuan significherebbe un flusso di 80 miliardi di dollari l’anno”.
I CRITERI DEL FMI
Il paniere, ricorda il Guardian, include al momento dollaro, euro, yen e sterlina, a cui si aggiungerà appunto lo yuan. Per essere inclusa, “una moneta deve essere giudicata dal consiglio direttivo del Fmi una valuta liberamente utilizzabile. In altre parole, deve essere una moneta che è ampiamente utilizzata per effettuare pagamenti per transazioni internazionali e ampiamente negoziata sui mercati dei cambi principali”. C’è anche un “criterio di esportazione, pensato per garantire che le monete nel paniere siano quelle che “svolgono un ruolo centrale nell’economia globale”.
Lo yuan, racconta il Wall Street Journal, comporrà “circa l’11% del paniere, più delle valute britannica e giapponese”. Ma “lo farà solo dal prossimo anno, il 2016, per consentire una transizione ordinata”.
LE CRITICHE
Non mancano i critici. Per Edwin Truman, economista americano che ha collaborato in varie occasioni col Tesoro Usa, quella di Christine Lagarde è una mossa dal sapore difensivo: “Il Fmi si è inchinato davanti a un imperatore invisibile”, ha scritto in recente post sul suo blog.
Dal 2001 senior fellow del Peterson Institute, Truman ha studiato per anni il Fmi e ha pochi dubbi: “Per ammettere lo yuan – ha spiegato al Ft – hanno dovuto stravolgere i criteri finora seguiti”.
LE RAGIONI DELLA SCELTA
Questo perché, spiega ancora Il Sole, la scelta dell’Fmi non è legata solo a considerazioni tecniche, ma anche “a considerazioni di tipo politico in senso lato. La Cina è ormai la seconda economia mondiale alle spalle degli Stati Uniti (la prima, in base ai calcoli effettuati secondo la parità di potere d’ acquisto) ed è nettamente sottorappresentata nel capitale del Fondo monetario, in quanto l’aggiustamento delle quote, approvato nel 2010 e che riconosce il maggior peso globale di Pechino e di altre economie emergenti, è tuttora bloccato dal Congresso degli Stati Uniti, che hanno potere di veto. Uno stallo che limita la rappresentatività dell’Fmi”. Perciò, prosegue l’analisi di Merli, “l’inserimento dello yuan fra le valute di riserva è in qualche modo una compensazione per il mancato aumento della quota e un tentativo da parte dei vertici del Fondo di mantenere buone relazioni con Pechino”.
Non solo: “Le istituzioni internazionali si confrontano con la possibilità che, senza un riconoscimento del proprio ruolo, la Cina finisca per bypassarle, come è avvenuto nella creazione della banca per le infrastrutture (Aiib), che di fatto supplisce agli interventi della Banca mondiale, dove pure l’aumento della quota cinese e degli altri emergenti è bloccato dal Congresso Usa”.