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Corte Costituzionale, la bancarotta del Parlamento

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Marco Bertoncini uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

La sagra della Corte costituzionale procede. Fra votazioni inutili, candidature bruciate, vertici di capigruppo, c’è un solo elemento costante: il guadagno dei grillini, non in termini di posti, bensì d’immagine. Più i partiti s’infognano in scrutini falliti, più cresce il disprezzo per i politici incapaci di eleggere i giudici, più sale l’antipolitica, più ne traggono vanto i massimi utilizzatori dell’antipolitica, ossia i pentastellati.

Per giustificare la bancarotta si possono trovare abbondanti cause. Fi è sempre stata divisa: se fosse stata unita fin dall’inizio, non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a quota 30 voti, perché sarebbe bastato il quarto appuntamento per sostituire Luigi Manzella. Alle minoranze del Pd non importano i nomi: l’essenziale è rompere le scatole a Renzi. I centristi, teoricamente forti di molte decine di parlamentari, sono frantumati in rivoli talora ridotti a singoli deputati o senatori. Leghisti, fittiani, Fd’It sembrano prediligere l’Aventino.

I partiti maggiori non riescono a imporsi nemmeno ai propri aderenti: inutile dire di persuadere gli alleati. Troppe le bianche, le nulle, le assenze, soprattutto troppi i voti dispersi. Troppi i malesseri interni a ciascun settore, con l’eccezione dei grillini. Appunto questi ultimi possono procedere sul piano politico e su quello mediatico. Politicamente, tentano di far valere i propri 130 voti: una minima compattezza di Pd, Fi e centristi li renderebbe superflui, ma c’è invece scollamento. Mediaticamente, appaiono come incontaminati dalle beghe politiche, cui improduttivamente si dedicano gli altri. Inutile poi chiedersi perché i sondaggi segnino vento in poppa per i seguaci di Beppe Grillo. Gli altri lavorano per loro.

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