Donald Trump è “il miglior reclutatore” del sedicente Stato islamico, con le sue “sortite razziste” e la sua campagna contro i musulmani, cui vuole vietare l’ingresso negli Stati Uniti. Hillary Rodham Clinton ha usato il terzo dibattito in diretta televisiva fra gli aspiranti alla nomination democratica alla Casa Bianca per attaccare più il battistrada fra i repubblicani che i suoi innocui rivali interni.
Sul palco di Manchester, nel New Hampshire, dove il 9 febbraio ci saranno le primarie, e in diretta televisiva sulla Abc, la Clinton e gli altri aspiranti democratici, il senatore del Vermont Bernie Sanders, che giocava quasi in casa, e l’ex governatore del Maryland Martin O’Malley hanno anzi mostrato molto fair-play reciproco, pur se non sono mancati punti di frizione.
Tutto il confronto s’è sviluppato su un doppio binario, la sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo – qui, la Clinton ha detto “no” a nuove guerra e che armare le persone non è una risposta, ribadendo d’essere favorevole a inasprire i controlli sulle vendite di armi -; e l’economia – qui, la Clinton ha ripetuto di volere tassare di più i ricchi, mentre ha escluso maggiori tasse alla classe media -.
Sanders, che si autodefinisce ‘socialista’ e che è l’antagonista più quotato della ex first lady, che però quasi lo doppia nei sondaggi fra i potenziali elettori democratici, dove O’Malley raccoglie scarso credito, s’è differenziato dall’ex segretario di Stato; ha sostenuto che la fine del regime d’Assad in Siria non è una priorità e l’ha criticata sui rapporti con la finanza di Wall Street.
Il senatore si presentava al dibattito dopo un vortice di polemiche, perché la sua campagna aveva, forse inavvertitamente, sottratto dati a quella di Hillary, ponendosi in contrasto con la Commissione elettorale democratico. Ma Sanders, che ha appena avuto l’appoggio d’un grosso sindacato e che, forse anche grazie all’acquisizione dei dati, ha raccolto in un solo giorno un milione di dollari, s’è subito scusato con la ex first lady e pure con i suoi sostenitori per l’errore fatto.
“Non è il tipo d campagna che vogliamo condurre”, ha detto il senatore. Hillary ha risposto: “Apprezzo sinceramente le tue parole, Bernie. E’ molto importante che ci lasciamo alle spalle questo problema”. Le due campagne collaboreranno all’inchiesta indipendente che dovrà stabilire che cosa sia successo, anche a livello tecnico. Pace fatta e incidente chiuso, a dimostrazione dell’assenza di animosità in campo democratico: nel primo dibattito, a ottobre, Sanders aveva già rinunciato ad attaccare l’ex segretario di Stato sulla polemica per l’uso della mail privata invece che di quella ufficiale, “parliamo di quel che interessa l’America –aveva detto-, l’economia e il lavoro”.
Hillary è parsa molto rilassata e a suo agio: ha scherzato su se stessa (“Tutti dovrebbero amarmi”) e sul ruolo del marito Bill, l’ex presidente; ha citato, in chiusura, la saga di Star Wars di cui è appena uscito l’ultimo episodio (“che la forza sia con voi”) e s’è pure presentata in ritardo alla ripresa dopo la pausa, scusandosi.
L’agenda prevede altri tre dibattiti in diretta televisiva fra gli aspiranti democratici. O’Malley se n’è lamentato perché i repubblicani, che ne hanno già sostenuti 5, ne prevedono 11 (ma il loro campo è molto più folto e la loro corsa molto più incerta).
Infine, una curiosità: il nome del re di Giordania Abdullah II, un alleato degli Usa nella lotta contro l’integralismo, e il cui Paese accoglie milioni di rifugiati siriani, continua ad essere storpiato, pur essendo oggetto di lodi. All’inizio della settimana, nel confronto repubblicano, Chris Christie, governatore del New Jersey, lo aveva elogiato come re Hussein, in realtà il padre di Abdullah, morto nel 1999; questa volta, Sanders gli ha reso omaggio come re Abdul; magari, al terzo tentativo il nome verrà fuori giusto.