Non so se Matteo Salvini se ne sia accorto, o preferisca girare la testa dall’altra parte consolandosi con la previsione che “non potrà durare molto” quel che è appena accaduto in Francia con i ballottaggi regionali.
Le amiche Le Pen – la zia Marine e la nipote Marion – hanno ballato molto meno dell’estate di un vecchio e celebre film svedese degli anni Cinquanta. In cui si raccontava la tragica storia d’amore fra un giovane studente e una contadina, provocatoriamente belli e felici agli occhi dei soliti benpensanti che videro come un segno punitivo del cielo la morte della ragazza in un incendio.
Zia e nipote, per niente lesbiche e nude nei loro approcci, per carità, ma solo unite insieme dalla parentela e dalla passione politica di destra, hanno ballato una sola settimana. Che è quella passata fra un primo turno in cui sembravano inarrestabili, vicinissime alla conquista delle regioni di Calais al nord e di Marsiglia al Sud, e un secondo, e più frequentato, turno in cui non hanno portato a casa nulla: molti voti, in verità, ma niente potere. La partita è stata vinta dai soliti Nicolas Sarkozy e François Hollande, che hanno acquisito con i loro uomini sette regioni l’uno e cinque l’altro.
Non durerà molto, come si augura Salvini preparando una festa di consolazione alla sua amica Marine in Italia, ma la convergenza fra gli elettori della destra moderata e della sinistra c’è stata, ha prodotto i suoi frutti e rischia, per il Fronte Nazionale francese, di replicare nelle prossime elezioni presidenziali lo spettacolo del 2002. Allora la sinistra fece vincere a mani basse il gollista Jacques Chirac per sbarrare la strada al vecchio Le Pen, il papà non ancora rinnegato politicamente dalla figlia.
Non è neppure detto che una disgraziata recrudescenza del terrorismo islamico in Francia, e più in generale in Europa, e altrove, come forse penseranno di nascosto i tifosi di Marine Le Pen oltr’Alpe e di Salvini in Italia, sia destinato a cambiare le cose a vantaggio della destra. I lettori del controverso ma commercialmente fortunato libro sulla “Sottomissione” ne sanno qualcosa.
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Anche se si tappa le orecchie per non sentirle, le campane di Francia avvertono il segretario della Lega italiana – peraltro in un sistema elettorale basato sul ballottaggio introdotto anche da noi con la legge che disciplinerà il prossimo rinnovo della Camera – che i voti di protesta, e d’indignazione, raccolti in prima battuta, quando la pancia prevale sulla testa, non bastano a garantire la vittoria. Possono far vincere il primo tempo della partita ma non il secondo, quando è la testa a prevalere sulla pancia, e prevale chi riesce a raccogliere più voti all’esterno dei propri recinti. Cosa, questa, difficile o incompatibile con quella smania di Salvini, e simili, di esibire i muscoli, e imporre la propria “identità” –si dice così?- alle altre componenti politiche che dovrebbero aiutarlo a tagliare un traguardo che da solo non può per banali ma inesorabili ragioni numeriche.
Salvini, che poi di voti in Italia ne ha molti meno della zia e nipote Le Pen in Francia, potrà pure riportare Silvio Berlusconi sui palchi di tutte le città italiane, come già fatto a Bologna, e prendersi la soddisfazione di farlo fischiare o sfottere dagli immancabili esagitati; potrà pure lasciare che i suoi stendano in piazza manifesti più o meno funebri per il leader quasi ottantenne di Forza Italia; potrà risparmiarsi difese del suo potenziale o reale alleato dalle accuse che ancora gli vengono rivolte da Procure e gazzette compiacenti; potrà presentarsi nelle sue abitazioni e nei suoi uffici, spalleggiato dalla sorella dei fratelli d’Italia, per fare le pulci, o quasi, a tutti i suoi candidati, veri o presunti, alle elezioni comunali della primavera prossima; potrà fare tutto questo e altro ancora, ma non potrà riuscire a fare senza Berlusconi, o addirittura contro di lui, quel nuovo centrodestra che rimane pur sempre l’unica coalizione in grado di contestare seriamente, non a parole, i grillini da una parte e quel caterpillar che è diventato, specie dopo il discorso conclusivo della sesta edizione della Leopolda, a Firenze, il presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi.
Gli avversari di sinistra definiscono sprezzantemente “centrista” il caterpillar di Renzi dimenticando che quella centrale è una posizione o condizione irrinunciabile per chi voglia vincere e governare un Paese con il consenso popolare, senza fare colpi di Stato e rivoluzioni paraideologiche: di quelle che hanno disseminato di morti mezzo mondo e che, per giunta, in Italia qualcuno vorrebbe fare solo col permesso dei carabinieri, come si divertiva a dire Leo Longanesi.
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Berlusconi avrà certamente i suoi guai, e difetti. Non parliamo poi di quelli che si procurano ogni giorno di più quanti lo hanno lasciato per creare una miriade di partiti, partitini, fondazioni e sigle che hanno reso illeggibili le carte nautiche della politica italiane. Ma non credano Salvini e la sua Lega di non avere problemi neppure loro, all’esterno ma anche all’interno.