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Il 2015 di Papa Francesco

Anche il terzo anno (solare) con Francesco alla guida della Chiesa è stato denso di avvenimenti. A scorrere l’agenda si coglie immediatamente il “filo rosso” che idealmente unisce il 2014 al 2015, anno che per certi versi può essere considerato la prosecuzione del precedente quanto a impegni assunti ed eventi organizzati. Di certo, il momento più inatteso è stato l’indizione del Giubileo della misericordia, annunciato il 13 marzo nella Basilica vaticana.

L’APERTURA DEL GIUBILEO

Un Anno Santo straordinario non previsto che ha come tema centrale il cardine del pontificato, quella parola – misericordia, appunto – che Bergoglio pronunciò affacciandosi dal Palazzo apostolico per il suo primo Angelus. Giubileo che poi s’è aperto solennemente in San Pietro lo scorso 8 dicembre e che proseguirà fino al prossimo 20 novembre. Non solo a Roma, ma in ogni diocesi e luogo particolare (come i santuari) del pianeta.

L’ENCICLICA SUL CREATO E LA CONFERENZA SUL CLIMA

Altro “momento” che ha avuto risonanza mondiale è stato rappresentato dalla presentazione dell’enciclica “Laudato si'” sulla custodia del creato. E’ la prima vera enciclica di Francesco, dal momento che la precedente (“Lumen fidei”) era in realtà stata quasi completata dal predecessore, Benedetto XVI. Era il 18 giugno, e subito il documento fece discutere, tra entusiasti da una parte e perplessi dall’altra. Il fine, come più volte dichiarato dallo stesso Pontefice, era quello di indicare una strada alla Conferenza sul clima di Parigi prevista a dicembre; evento che la Santa Sede ha seguito ai più alti livelli, con diversi pronunciamenti anche del Papa.

I VIAGGI INTERNAZIONALI: DALLO SRI LANKA AGLI STATI UNITI

Ma è forse nei viaggi internazionali che si può maggiormente comprendere l’importanza dell’anno che va a concludersi. Francesco, nonostante l’età, ha percorso in lungo e in largo il globo. A gennaio era in Sri Lanka e nelle Filippine, con l’enorme folla (7 milioni di fedeli) che ha seguito la messa celebrata a Manila, in Sri Lanka. A giugno, in Bosnia, a Sarajevo. Un solo giorno ma dal carico enorme di significato. A luglio in America meridionale: Ecuador, Bolivia e Paraguay. In questo tour il Papa ha tenuto discorsi che segneranno il pontificato, a cominciare da quello pronunciato in occasione del II Incontro mondiale dei movimenti popolari, a Santa Cruz, nel paese guidato da Evo Morales. Dopo l’estate, era settembre, il viaggio forse più atteso e complicato: in quegli Stati Uniti così lontani dalle priorità segnate nell’agenda di Bergoglio. Prima di arrivare a Washington, il Papa aveva voluto anteporre una lunga sosta a Cuba, tre città del paese che anche grazie alla mediazione del vescovo di Roma si era riavvicinato diplomaticamente ai vecchi nemici yankee. E poi l’Africa, a novembre: Kenya, Uganda, Repubblica centroafricana, con l’apertura della Porta Santa a Bangui, nonostante gli allarmi per la sicurezza.

L’ATTIVISMO SULLO SCACCHIERE GLOBALE

E’ il fronte internazionale a catalizzare l’attenzione degli osservatori meno attenti alle questioni prettamente ecclesiastiche (vedasi il Sinodo ordinario sulla famiglia, prosecuzione di quello straordinario dell’ottobre 2014). Il merito è del forte protagonismo della Santa Sede sullo scacchiere globale, dovuto anche al lavorìo della Segreteria di stato guidata dal diplomatico Pietro Parolin. Il dialogo con la Cina prosegue sottotraccia (ma prosegue), gli appelli per la pace in medio oriente sono costanti, così come quelli a dare assistenza e rifugio ai migranti. Le Faarc chiedono la mediazione di Francesco nella guerra con la Colombia, l’Autorità palestinese guarda a lui per far valere le proprie posizioni. Non è mancato qualche incidente: la tensione con la Turchia dopo che Bergoglio, il 12 aprile, parlò di “genocidio” riguardo gli armeni. Ankara convocò il nunzio apostolico, richiamò l’ambasciatore e protestò vibratamente.

IL RITORNO DI VATILEAKS

Ma è anche stato l’anno del ritorno di Vatileaks. Documenti riservati che sono serviti a corroborare due libri freschi di stampa, ex collaboratrici e baldanzosi monsignori messi temporaneamente ai ceppi perché invischiati nella vicenda (ora sotto processo, assieme a due giornalisti). E il Papa che, in tutto questo, riconosce d’aver commesso uno sbaglio che comunque non gli ha “tolto il sonno”. Rispetto al primo Vatileaks è forse questo l’aspetto più rilevante: la maggiore serenità che si respira oltretevere nell’affrontare la vicenda. Forse anche perché i documenti pubblicati erano già ben noti al Papa e ai suoi più stretti collaboratori.

RIFORME INTERNE 

E’ andata avanti, seppur con grande lentezza, la riforma della curia. Lentezza non imprevista, visto che da sempre è stato sottolineato come i tempi sarebbero stati lunghi. Per ora sono previsti vari accorpamenti di dicasteri (uno l’ha annunciato Francesco in persona nelle giornate sinodali), ma la bozza della costituzione curiale è ancora in alto mare. Si è mosso qualcosa, invece, sul fronte della comunicazione. Terminati i lavori della commissione creata ad hoc, il Papa ha istituito la Segreteria per le Comunicazioni, nominando Prefetto mons. Dario Edoardo Viganò e assegnando a Padre Federico Lombardi, portavoce e direttore della Sala stampa, un nuovo vice, l’americano (ex Fox News) Greg Burke.

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