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Isis, ecco perché i Servizi segreti hanno toppato a Parigi

Isis

I recenti, tragici, attacchi terroristici nella capitale francese hanno rinfocolato un oramai vecchio dibattito sull’efficienza dell’intelligence.
Dall’11 settembre 2001 in poi, infatti, puntualmente, quasi ogni attacco terroristico di una certa magnitudine viene considerato come un fallimento dei servizi segreti e, più in generale, degli apparati di sicurezza nazionale. Un fallimento che, secondo la vulgata, necessiterebbe di apposite cure affinché non si ripeta. Il più delle volte i rimedi consigliati, da esperti (o presunti tali), commentatori, politici (e anche da alcune commissioni di inchiesta), hanno a che fare con processi di riorganizzazione. In altri termini, si sostiene, solo una riorganizzazione burocratica dell’Intelligence eviterà ulteriori fallimenti e, in definitiva, ne migliorerà le performance.

COSA POSSONO FARE LE RIFORME?

Ma è davvero così? Riorganizzazioni e riforme sono in grado di “curare” le patologie di un’intelligence che ha fallito nel prevenire un grosso attacco terroristico? La domanda è quanto mai opportuna in questi giorni nei quali da più parti, in Italia ed all’estero, si invoca la creazione di un’agenzia di intelligence europea, secondo molti una soluzione definitiva per curare i mali che affliggono le intelligence nazionali ed il mezzo più efficace per prevenire ulteriori attentati terroristici.
L’esperienza internazionale pluridecennale, però, ci dimostra che non è proprio così. I fallimenti dell’intelligence, in particolare quelli connessi a cosiddetti ‘surprise attack’, o attacchi a sorpresa, vengono attentamente analizzati da oltre sessant’anni. Fin dai tempi dell’attacco giapponese alla base navale statunitense di Pearl Harbor. Nell’ambito degli studi di intelligence esiste una branca che si occupa di studiare in modo specifico i casi di “intelligence failure”, un campo, questo, che dopo l’11 settembre si è focalizzato sull’analisi degli attacchi terroristici e sul ruolo dell’intelligence nella prevenzione di tali episodi.

I FATTORI CHIAVE

Sinteticamente, dall’analisi dei casi passati si evince che sono due i fattori chiave per la prevenzione degli attacchi a sorpresa, sia di tipo militare che terroristico. Innanzitutto gli organi di sicurezza devono essere in grado di lanciare un allarme tattico specifico e dettagliato su quanto è in preparazione. In altri termini è indispensabile che l’intelligence (o le forze di polizia) avvisi il decisore politico non con genericità (come avvenuto, ad esempio, poco prima dell’11 settembre) ma con precisione sul chi, sul dove e sul come. E’ dimostrato, infatti, che gli allarmi generici non sono in grado di destare l’attenzione del decisore e di dar luogo alle opportune contromisure. Infine, è necessario che il decisore sia ricettivo ovvero che egli abbia fiducia nei propri apparati di sicurezza e non sottovaluti l’allarme che questi gli inoltrano.
Quando non sussistono contemporaneamente entrambi i fattori (warning tattico e ricettività) la storia ci insegna che è altamente probabile che l’attacco non verrà sventato. Avremo, quindi, un fallimento dell’intelligence.

GLI ATTACCHI A PARIGI

Esaminiamo, alla luce degli studi più avanzati su questo tema, l’attacco jihadista alla capitale francese. Urge una premessa. Per analizzare correttamente un possibile caso di intelligence failure è necessario disporre di tutti i documenti in modo da definire con precisione le dinamiche connesse all’evento. Quali informazioni erano disponibili, chi sapeva cosa, cosa è stato condiviso e così via.
Tutti dati, questi, che diventano pubblici nel corso del tempo e non sono immediatamente disponibili. Se non altro perché, ovviamente, molti elementi che riguardano le attività dell’intelligence e le indagini sono riservati e vengono volutamente mantenuti segreti a tutela della sicurezza nazionale e delle indagini in corso.

LE RAGIONI DI UN FALLIMENTO

Nel caso in questione, quindi, proprio perché recentissimo, non disponiamo ancora di tutto ciò che è necessario per poter esprimere un giudizio definitivo. Ciononostante, in base a quanto già adesso di pubblico dominio, è possibile comunque iniziare a tracciare alcune importanti conclusioni.
Innanzitutto, possiamo parlare di fallimento dell’intelligence in relazione agli attentati del 13 novembre scorso? In base a quanto detto prima la risposta dovrebbe essere affermativa. Allo stato attuale non risulta che gli organismi di sicurezza belgi abbiano lanciato un warning tattico, un allarme specifico e dettagliato sul complotto. Tecnicamente, quindi, si può parlare di un fallimento.
Quale componente avrebbe fallito? La parte tecnica-operativa (i Servizi, le forze di polizia, la magistratura) o il vertice politico, il decisore? È ancora troppo presto per dirlo ma, a parere di chi scrive, è l’intero sistema di sicurezza nazionale belga che ha dimostrato gravi carenze. Sia da punto di visto tecnico-operativo, che da punto di vista politico e legislativo.

(Prima parte di un’analisi più ampia; le prossime puntate saranno pubblicate nei prossimi giorni su Formiche.net)



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