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Serve davvero un’Intelligence europea contro Isis?

Terza e ultima parte di un’analisi. La prima parte si può leggere qui, la seconda si può leggere qui.

Se così stanno le cose, quale miglioramento alla sicurezza di questo continente proverrebbe dalla creazione di un’intelligence europea? A meno di non ipotizzare la chiusura dei Servizi segreti e delle forze di polizia nazionali e la loro sostituzione con burocrazie europee (ipotesi, francamente, al limite del ridicolo) quando si parla di intelligence europea o si intende la creazione di una vera agenzia di intelligence (composta da agenti operativi ed uffici di analisi, per intenderci) avente come unico referente politico i vertici dell’Unione o si intende il rafforzamento delle già esistenti strutture europee istituite da anni proprio per la condivisione delle informazioni tra i Paesi e per il miglioramento della cooperazione.

Nel primo caso, la creazione di un’agenzia europea avrebbe solo l’effetto di introdurre un ulteriore elemento di complessità nel panorama delle forze di sicurezza europee. Un altro livello burocratico da integrare, ulteriori dinamiche di competizione tra agenzie. Ben diverso sarebbe il risultato nella seconda ipotesi. Il rafforzamento dei centri di infosharing e della cooperazione sicuramente migliorerebbe la capacità di integrazione dei vari organismi nazionali di sicurezza aumentandone l’efficienza e, in definitiva, migliorando il complessivo livello di sicurezza europeo.

Bisogna avere, però, qualcosa da condividere. Si torna, quindi, al punto di partenza: qual è l’efficienza dei sistemi di sicurezza nazionali? Ci sono Paesi che hanno investito risorse (più o meno) adeguate rispetto al livello di minaccia che si andava delineando nel corso degli anni e che adesso sono in grado, con gli opportuni aggiustamenti, di affrontare la sfida posta dallo jihadismo. Ci sono invece altri Paesi che, per motivi vari (culturali, politici, storici) non sono stati in grado di adeguarsi ad una minaccia jihadista via via crescente e che perciò si trovano adesso molto, molto indietro nel loro livello di preparazione. In un’Europa nella quale beni, merci e uomini possono transitare liberamente la debolezza di uno Stato o l’inefficienza del suo sistema di sicurezza espone a gravi rischi tutto il resto del continente. È questo il tema centrale, allo stato attuale. Garantire la sicurezza dell’Europa migliorando l’efficienza degli apparati di sicurezza nazionali.

Sarà quindi necessario, anziché sperperare risorse inseguendo falsi miti, capitalizzare adeguatamente i Servizi segreti e le polizie dei singoli Stati adeguando le normative e le competenze agli standard più elevati. In altri termini, anziché creare nuove strutture (disperdendo risorse) è necessario migliorare quelle esistenti (sia nazionali che europee) e, soprattutto, è indispensabile elevare l’efficienza di quei sistemi di sicurezza nazionali che, in base all’esperienza più recente, hanno dimostrato grosse difficoltà ad adeguarsi alle sfide provenienti dal terrorismo jihadista transnazionale.

(3/fine)

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