Si può essere il primo partito di Francia, con il 30% dei suffragi elettorali e non ottenere neppure una regione, con soli due rappresentanti all’Assemblea nazionale, pochi sindaci e una sottodimensionata truppa di assessori e consiglieri locali? Sì, si può. Finché il sistema elettorale rimarrà quello vigente e non evolverà verso un più equo regime di ripartizione degli eletti, vale a dire il turno unico o il proporzionale puro. Solo allora il Front Nazional, o chi per esso, avrà ciò che si merita, cioè a dire la rappresentatività ragionevole in base ai voti reali ottenuti.
Marine Le Pen ed il Front hanno perso due o tre regioni che una settimana fa ritenevano di aver conquistato. Non avevano fatto i conti con il trasformismo dei socialisti (i peggiori politici d’Europa) e l’accondiscendenza (festosa, ma anche un po’ vergognosa tanto da non sbandierarla) dei Républicains: divisi su tutto, ma uniti dalla volontà di non cedere neppure lo spazio più esiguo. Sarkozy può sommessamente cantare vittoria: il suo partito governava una sola regione, adesso ne governa sette. Valls, triste figuro che non si è peritato di invocare lo spettro della “guerra civile” se avesse vinto la Le Pen, si giustificherà davanti ai suoi per aver perso la maggioranza delle regioni asserendo che era un sacrificio necessario per preservare i valori repubblicani minacciati. E così la destra post-gollista (che di gollista non ha più niente) e i socialisti post-mitterrandiani (a vent’anni dalla morte del grande presidente socialista che di lui neppure più il ricordo conservano) potranno continuare a menarsela la storiella secondo la quale hanno salvato la Francia. Non ci crede nessuno.
Non ci credono neppure gli Hollande e i Sarkozy, i Valls e i Juppé, le Aubry e i Fillon. Sanno bene che la crisi francese è profonda, che non è stata la paura a portare tanto in alto la Le Pen, fino a provocare ai suoi avversari (meglio: nemici, dopo quanto si è visto) le vertigini; che nelle regioni più disagiate la deriva consociativa è vista come un favore fatto da partiti un tempo popolari alla tecnocrazia, alle banche, alle grandi imprese che si sono ingoiate le piccole, ai giornali che pontificano quotidianamente sulle “magnifiche sorti e progressive” della globalizzazione.
Socialisti e pseudo-gollisti non capiscono più il loro Paese. La Francia profonda li respinge e con ansia, da ieri sera, attende un altro momento per farsi sentire: le presidenziali del 2017 in vista delle quali l’union sacreé, durata lo spazio di una settimana, già s’è infranta. Riprenderanno a lanciarsi accuse sanguinose coloro che hanno dato vita all’ammucchiata più indecente della storia francese e forse europea del dopoguerra. Continueranno peggio di prima a dividersi su qualsiasi cosa, a delegittimarsi reciprocamente e nello stesso tempo – paradosso dei paradossi – la loro agenda gliela scriverà Marine Le Pen le cui idee sono al centro della discussione politica ed hanno conquistato la maggioranza dei francesi a prescindere dalle appartenenze.
Ha ragione la bionda leader: destra e sinistra non significano più niente. Esistono soltanto mondialisti e patrioti. La competizione è tra chi vuole nazioni e Stati irrilevanti e sovranisti che non rinnegano l’Europa, ma la immaginano come una confederazione di culture, sentimenti, bisogni, generosità, identità “felici” che s’incontrano, diversità che si comprendono. I vecchi schemi non reggono più. Ci sarà pure qualcuno in Francia (come altrove) che lo spiegherà ai provvisori vincitori di oggi illudendosi che capiscano la gravità della situazione.
Si legge sui grandi giornali che l’Europa ha tirato un sospiro di sollievo ieri sera. Chi lo scrive ha sentito solo quelli di Valls e dei suoi sodali, occasionali o permanenti. L’oltre 40% degli elettori che ha rinnovato il consenso a Marine e a Marion Le Pen nelle regioni nelle quali erano candidate, ed il 30% dei francesi che si sono recati alle urne sanno che non sono stati sconfitti. Hollande e Sarkozy (forse Juppé) incontreranno sulla loro strada tra diciotto mesi ancora la Le Pen. Il “repubblicano” restiturà il favore al socialista? Oppure il socialista ripeterà l’operazione di autoannientamento politico chiedendo ancora una volta di far convergere i voti della gauche sull’avversario? In un modo o nell’altro il copione è destinato a ripetersi. Con quale esito non sappiamo. Ma qualcosa ci dice che lo “schema Valls” non potrà essere più giocato: i partiti della vecchia Repubblica sono alle corde; la paura di sparire li tiene insieme. In queste condizioni è inevitabile che restino impigliati nelle loro stesse contraddizioni.