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Ecco come Renzi compulsa la Repubblica e La Stampa

Attenti ai giornali sino a lasciarsene ossessionare, al di là della promessa ufficiale del presidente del Consiglio di non farsi “guastare la giornata” da un titolo o un articolo sgradito, i collaboratori di Matteo Renzi stanno esaminando con particolare cura in questo periodo le prime pagine, ma anche quelle interne, di due quotidiani: La Stampa e la Repubblica.

Le uscite del giornale storico della Fiat confortano i renziani per le prove di misura e ragionevolezza che continua a dare il direttore uscente Mario Calabresi nei riguardi del governo. Al quale egli ha appena dedicato l’apertura valorizzandone al massimo la promessa ai danneggiati dalla Banca Etruria e dintorni che “Chi ha truffato ora dovrà pagare”. Esattamente quello che si aspettano i malcapitati acquirenti delle obbligazioni volatilizzatesi in una notte.

In più, anche a costo di procurare qualche imbarazzo alla ministra Maria Elena Boschi e allo stesso presidente del Consiglio che la sostiene nella bufera scatenata contro di lei dalle opposizioni, spintesi a promuoverne la sfiducia alla Camera per i legami fra la sua famiglia e la Banca Etruria, nel titolo di apertura della Stampa si dà conto, con tanto di virgolette, del “padre della Boschi mandato via da questo governo” per i pochi mesi trascorsi alla vice presidenza dell’istituto, dopo le multe comminatagli dalla Banca d’Italia con altri amministratori. E in attesa di vedere ciò che potrà emergere dalle indagini giù avviate in sede giudiziaria, nonché da quelle che svolgerà l’annunciata commissione d’inchiesta parlamentare, per quanto il senatore a vita ed ex presidente “tecnico” del Consiglio Mario Monti si sia affrettato a dubitare della serietà e attendibilità di un accertamento condotto da persone, secondo lui, non sufficientemente competenti e immuni dall’abituale approssimazione dei politici. Come sobria disistima del Parlamento non c’è male. Forse basterà fargliela presiedere a lui, questa sgradita commissione.

(PIZZI ESTASIATO DA MARIA ELENA BOSCHI. LE ULTIME FOTO)

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Nella speranza, che va però scemando, di vedere fra un mese confermate le qualità di Calabresi alla direzione della Repubblica, gli amici di Renzi non stanno proprio gradendo il modo con il quale il direttore uscente Ezio Mauro e il mantellato fondatore Eugenio Scalfari stanno gestendo sulla corazzata di carta della sinistra italiana le vicende bancarie che hanno terremotato questa fine d’anno.

Dalle parti del presidente del Consiglio temono, in particolare, che Calabresi arriverà troppo tardi al timone del giornale dell’editore Carlo De Benedetti, quando già il direttore uscente e gli editorialisti di turno avranno fatto terra bruciata e ipotecato politicamente i passaggi successivi.

Preoccupazioni, sempre dalle parti del presidente del Consiglio, cominciano a nutrirsi anche sulla posizione dell’editore di Repubblica. Si teme, in particolare, che Carlo De Benedetti, per quanto estimatore dichiarato di Renzi, si possa sentire in difficoltà per i rischi che sta correndo anche lui nelle vicende bancarie di questa coda velenosissima del 2015.

Accertamenti sono stati già annunciati negli organi competenti, anche con il solito ricorso a intercettazioni telefoniche o elettroniche, sui fortunati e rapidi guadagni realizzati in borsa dall’editore della Repubblica, o società a lui riferibili, acquistando e vendendo al tempo giusto azioni delle banche popolari. In questa condizione, dalla quale naturalmente egli è sicuro di uscire a testa alta, come il ministro dell’Economia ha detto anche della ministra Boschi, gli amici di Renzi potrebbero trovare De Benedetti più guardingo, se non distante, rispetto alle loro attese su una svolta governativa del nuovo direttore.

(IL TIKI-TAKA DI RENZI CON MARIO CALABRESI. LE FOTO PIU’ RECENTI)

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Non sono piaciuti, sempre nell’entourage di Palazzo Chigi e del vicino Nazareno, dove si trova notoriamente la sede del Partito Democratico, tre “Punti” successivi del notista di Repubblica Stefano Folli. Che prima ha liquidato, lunedì, come un’occasione “perduta” e “provinciale” il raduno dei renziani alla Leopolda, contestando troppa polemica con i giornali, troppo ottimismo su un “futuro senza tempo”, troppa personalizzazione plebiscitaria del referendum dell’anno prossimo sulla riforma costituzionale. Poi, martedì, ha ammonito Renzi dalla tentazione di “trasformare gli oltre due anni che mancano alla fine della legislatura in una campagna elettorale permanente”. Infine, di mercoledì, ha certificato che “l’immagine di Renzi viene incrinata e restaurarla non sarà facile”, neppure a Calabresi evidentemente.

Ma i moniti e le critiche di Folli sono apparse caramelle ai renziani rispetto all’articolo di Roberto Saviano, già sostenitore delle dimissioni della ministra Boschi, in cui Renzi è stato bacchettato per avere parlato alla Leopolda del suo “babbo” costretto al secondo Natale in veste di indagato, nonostante l’archiviazione chiesta dall’accusa per una complessa vicenda che, anziché restringersi, pare possa o vada allargandosi per sfiorare anche, con riferimenti ad amici, soci e familiari, le vicende della Banca Etruria e dintorni.

Per fortuna il vecchio Licio Gelli è appena morto, alla bella età di 96 anni, nella sua Arezzo. Nessuno ha fatto in tempo a infilare anche lui e la sua malfamata loggia massonica, come il solito prezzemolo, nelle torbide cronache toscane e nazionali di questi giorni.

(GELLI VISTO DA PIZZI. LE FOTO DI ARCHIVIO)

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