L’Unione europea vive forse una delle fasi più concitate dalla sua nascita. Dalle tensioni energetiche tra Italia e Germania che hanno riaperto il dibattito sulle sanzioni alla Russia, passando per la Brexit, fino a immigrazione e banche, non sono pochi i dossier che in questi giorni dividono gli Stati membri e che saranno affrontati nel corso del Consiglio europeo in programma oggi e domani a Bruxelles.
I GASDOTTI DELLA DISCORDIA
Ultimo in ordine di tempo, e forse più spinoso dei temi, è quello che sta dividendo Roma e Berlino. Sarebbe stato il gas, e in particolare il raddoppio della pipeline North Stream, l’elemento scatenante della posizione italiana (di Palazzo Chigi, più che della Farnesina) di aprire un dibattito politico sulle sanzioni alla Russia per la crisi ucraina e fermarne il rinnovo automatico di sei mesi. Oggi, durante il Consiglio – spiegava qualche giorno fa il Financial Times – il premier Matteo Renzi dovrebbe sollevare il problema. L’Italia, evidenziava il quotidiano britannico, è irritata per la condotta dei vertici dell’Unione che da un lato hanno deciso di abbandonare South Stream, un altro progetto di gasdotto che avrebbe collegato la Russia all’Europa e del quale Eni era uno dei maggiori investitori; dall’altro concedono il potenziamento di un altra infrastruttura energetica – North Stream, appunto – sostenuta dalla Germania. Ma a infastidire Palazzo Chigi non sarebbe solo l’operato della Commissione, ma anche il “doppiogiochismo” di Angela Merkel che, hanno scritto Alberto D’Argenio e Luca Pagni su Repubblica,“è dura sulle sanzioni” ma “fa affari con Mosca dimostrando di anteporre i propri interessi economici alla diplomazia collettiva”. In queste beghe, sottolinea la Reuters, sguazzerebbe il Cremlino. Tanto che, parlando con l’agenzia, alcuni diplomatici europei hanno messo in evidenza come le tensioni di queste ore siano diretta conseguenza di una precisa strategia di Mosca, che fa leva sulla voglia di ogni Paese membro – Germania in questo caso – di tutelare innanzitutto i suoi interessi nazionali a scapito di quelli degli altri, proprio mentre l’Ue punta a un mercato unico dell’energia.
LO “SCOSSONE” DIPLOMATICO
Vicenda che, sommata ad altre, sta inducendo tra l’altro il premier Matteo Renzi a decidere di sostituire prima del tempo l’ambasciatore della Penisola a Bruxelles, Stefano Sannino, come rivela oggi il Corriere della Sera. “Forse sono state le crescenti incomprensioni tra Italia e Ue: dal dossier migranti alle clausole di bilancio sino al caso del raddoppio del gasdotto North Stream. Fatto sta”, scrive oggi il giornalista del Corriere della Sera Marco Galluzzo, “che Renzi avrebbe deciso di sostituire il nostro ambasciatore a Bruxelles, Stefano Sannino, prima del tempo. La decisione potrebbe essere presa già nel Consiglio dei ministri del 21 dicembre. «Capisco che questa non è un’ambasciata come le altre, è come un ufficio distaccato del governo e ci vuole un rapporto particolare di fiducia», si è sfogato l’ambasciatore con gli amici”. Ma “la differenza di carattere con Renzi ha pesato: Sannino è un pontiere, il premier ama rottamare quello che ritiene sbagliato”, rileva il quotidiano di Via Solferino.
IL DIBATTITO SULLE BANCHE
Domani mattina si affronterà un altro dossier economico, quello sui progressi dell’unione bancaria. Gli sbuffi anti Bruxelles e anti Berlino in Italia sono sempre più evidenti dopo il sostanziale no della Commissione europea all’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) nel capitale di 4 banche commissariate (Banca Marche, Banca Etruria, Cari Chieti e Cari Ferrara). Un no mai davvero esplicitato formalmente (altrimenti sarebbe stato passibile di ricorsi) che ha fatto imbestialire il mondo bancario italiano, compresa la Banca d’Italia e il governo. Così l’esecutivo con un decreto del 22 novembre ha deciso di percorrere la strada della risoluzione degli istituti prevista dalla direttiva Brrd. Una strada che inevitabilmente ha penalizzato i titolari di obbligazioni subordinate, equiparate a quote di capitale come le azioni. Ma ora le preoccupazioni delle istituzioni italiane sono concentrate su un altro, potenziale, no che affonderebbe le speranze di ambienti bancari: un niet verso il progetto in cantiere fra Tesoro, Bankitalia e Abi su una sorta di bad bank sistemica, senza apporto finanziario dello Stato, in cui allocare i crediti super incagliati degli istituti di credito.
La riunione del Consiglio europeo sarà una occasione per per fare un check up dello stato dell’unione bancaria e affrontarne l’ultimo punto, la garanzia europea per i depositi, dopo il compromesso raggiunto sul completamento della sorveglianza bancaria unica e del sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie. Le posizioni sono ancora distanti. A esempio Roma, proprio in questi giorni alle prese con i problemi di Banca Marche, Banca Etruria, Cari Ferrara e Cari Chieti, vorrebbe dare corso a questa misura il più rapidamente possibile. La Germania, invece, prosegue nel frenare, mentre nel recente passato è stata una sostenitrice. Non solo. Proprio sulla questione dei quattro istituti di credito in difficoltà, spiega oggi sul Corriere della Sera Federico Fubini, il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager, si starebbe trincerando nel silenzio. “Non si ricorda una sola frase del commissario europeo dedicata a spiegare la sua posizione sul sistema degli istituti di credito in Italia. Poco importa che l’attitudine dei suoi funzionari sia tale da bloccare di fatto la riforma di cui forse il Paese ha bisogno nel modo più pressante: una «bad bank».
IL DOSSIER IMMIGRAZIONE
Dopo le polemiche su quote e frontiere, un altro argomento caldo del dossier immigrazione è la gestione degli arrivi. Il governo italiano è irritato per l’apertura di una procedura di infrazione in materia di asilo, comunicata nei giorni scorsi dalla Commissione inviando al governo una lettera di costituzione in mora, primo passo della procedura, con l’esortazione ad attuare correttamente il regolamento Eurodac per la raccolta di impronte dei migranti. Stesso trattamento riservato a Croazia e Grecia. Lunedì scorso l’agenzia Ansa aveva a questo riguardo anticipato il contenuto di un rapporto di Berlaymont sull’Italia uscito il 15 dicembre, in cui Bruxelles chiede all’Italia “un’accelerazione” nel “dare cornice legale alle attività di hotspot, in particolare per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza”. “Malgrado i sostanziali incoraggiamenti” della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, c’è scritto nel documento, “solo uno dei sei hotspot designati è pienamente operativo, a Lampedusa. La Commissione si aspetta che altri due centri, Pozzallo e Porto Empedocle siano aperti a giorni”. Nel rapporto si osserva anche che “il processo di ricollocamento” di migranti e richiedenti asilo dall’Italia è “attualmente colpito da una mancanza di potenziali candidati a causa di un basso livello di arrivi, concentrati su nazionalità che non sono candidabili per il ricollocamento”. A queste osservazioni è seguita la replica del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che – riportava il giornale diretto da Luciano Fontana – ha detto che “«in Italia le impronte digitali vengono registrate quasi ormai al 100%», e di credere «che ci siano delle sentenze di Cassazione che autorizzano un uso della forza proporzionato per raccogliere le impronte digitali». Ok alla bozza della Commissione europea sui migranti” – ha sottolineato il Viminale in un incontro con il commissario europeo Dimitris Avramapoulos, in Prefettura, proprio in merito alle politiche migratorie, “«ma con rimpatri. La linea italiana è che hotspot, delocation e rimpatri vadano insieme»”. Si discuterà anche di un’altra misura correlata proposta dalla Commissione, che l’Italia considera positiva, cioè la creazione di un primo, vero corpo militare europeo e di un controllo delle frontiere esterne, che blinderebbe i confini dell’Europa senza intaccare uno dei pilastri dell’Unione, il trattato di Schengen. Ma anche in questi casi molti Paesi si oppongono, preoccupati di perdere il controllo su alcune loro prerogative nazionali.
LA QUESTIONE BREXIT
Meno presente sulle cronache, ma sempre aperta è poi la questione Brexit, ovvero la possibile uscita del Regno Unito dal recinto comunitario. A inizio novembre, il premier David Cameron ha inviato una lettera al presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, chiedendo di rivedere l’appartenenza del suo Paese all’Ue, in attesa del referendum popolare che deciderà sulla permanenza di Londra. La missiva, articolata in quattro punti (economia, immigrazione, sovranità, competitività) ribadiva alcune richieste della nazione a Bruxelles e agli altri Stati membri. La questione dovrebbe essere discussa stasera in una cena di stasera. La questione più difficile da risolvere, che minerebbe alle fondamenta le basi dell’Unione, è la richiesta di sospendere per i primi quattro anni il welfare e tutti i benefici sociali per i cittadini comunitari che risiedono e lavorano nel Regno Unito, perché considerata da molti discriminatoria rispetto ai cittadini britannici. Sul tema proprio Tusk ha parlato oggi, dicendo che la questione del Regno Unito è “cruciale” e gli Stati membri hanno finora “mostrato buona volontà” ma “questo non cambia il fatto che alcune parti delle proposta britannica sembrano inaccettabili”. Parole che preannunciano un percorso non facile. In questo frangente la Penisola può recitare un ruolo. “La Gran Bretagna – ha detto Philip Hammond, segretario di Stato per gli Affari esteri e del Commonwealth, intervenuto il 25 novembre a Roma in occasione di un convegno organizzato dall’Istituto affari internazionali – riuscirà a proporre efficacemente una riforma dell’Unione europea solo se sarà capace di convincere gli altri Stati membri che una revisione strutturale è interesse comune. E per questo obiettivo, l’Italia è un partner cruciale. “Better Europe, not more Europe”: lo disse anche Matteo Renzi quando venne a Londra”.