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L’energica eredità di Felice Ippolito

Di Massimo Pittarello

C’è molto da celebrare, ma non è solo una celebrazione. Nel centenario della nascita, la figura di Felice Ippolito viene identificata con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la nascita del nucleare nel nostro Paese, ma anche con una vicenda tormentata, piena di polemiche e contraddizioni che ha paralizzato il processo di emancipazione energetica italiana. Soprattutto, a 20 anni dalla morte, la storia dello scienziato napoletano, oltre a coincidere con il fallimento del nucleare negli anni Sessanta, quando l’Italia era terza al mondo, ci ricorda – sottolineano gli addetti ai lavori – tutti i ritardi accumulati nella ricerca tecnologica, l’assenza di programmazione sulle fonti energetiche, la mancanza di una politica industriale. Insomma, quello che molti chiamano “il miracolo scippato”.

L’occasione per ricordare Felice Ippolito, scomparso nel 1997, ed elaborare il valore della sua vicenda umana e professionale, è stata l’appuntamento di ieri all’Hotel Nazionale in piazza Montecitorio, organizzato dall’Associazione Italiana Nucleare e dal periodico La TerzaRepubblica, diretto da Enrico Cisnetto. Carlo Bernardini, professore di Fisica alla Sapienza, che ne ha in parte ereditato il lavoro, l’ha ricordato come “un decisionista illuminato e competente che aveva portato in pochi anni la ricerca italiana al top nel mondo”. Ma oggi “i prodotti con un futuro sono quelli ad alto valore di conoscenza e all’industria serve la tecnologia, quindi i finanziamenti dello Stato in ricerca e innovazione”, ha spiegato l’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, per il quale “c’è stato uno deterioramento progressivo proprio del rapporto tra tecnologia e industria”. La storia di del nucleare, per Adinolfi, è esemplificativa del declino industriale, perché “la scelta energetica è il centro del modello di sviluppo di un Paese”.

Successivamente molti e appassionati sono stati gli interventi di professori ed ex collaboratori di Ippolito che hanno spaziato nei ricordi personali, nell’individuare le responsabilità politiche di chi volle bloccare il nucleare in Italia, passando alle valutazioni delle migliori strategie di investimento tra pubblico e privato, fino alla mancata preparazione accademica dei futuri tecnici per cui, constata con amarezza il prof. Paoloni “se un Felice Ippolito fosse oggi uno studente, non studierebbe certo il nucleare”.

L’appuntamento si è chiuso con l’intervento di Marco Simoni, economista e consigliere della presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui sottotitolo potrebbe essere “le occasioni mancate”. Oltre ad analizzare le criticità dei distretti industriali, spesso in competizione tra loro, e dei modelli di sviluppo troppo legati ad una sola personalità (come fu per Ippolito, ma anche per Enrico Mattei o Beneduce), Simoni ha lanciato l’allarme per “l’attacco al razionalismo” attualmente in corso. Cioè verso quella pericolosa battaglia semioscurantista alla scienza che contesta le prove scientifiche e i vaccini e per la quale “mio figlio era pronto a rinunciare alla Nutella, alla cioccolata, perché aveva sentito parlare male dell’olio di palma dalla maestra. Una follia”.

Di fronte alla crescente complessità del reale e alle sfide della globalizzazione, l’esigenza manifestata da tutti i partecipanti è stata raccolta da Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare: creare una Fondazione che, nel nome di Felice Ippolito, oltre alla doverosa opera commemorativa e divulgativa, abbia come obiettivo la lotta a questa forma di ‘neo oscurantismo’ dell’era di internet, che possa promuovere la ricerca scientifica, gli investimenti in innovazione, la pianificazione industriale. In modo che, se anche non è più possibile recuperare il “miracolo scippato”, (il blocco del boom esploso tra il 1955 e il 1962), sia quantomeno possibile ri-fondare uno sviluppo scientifico e tecnologico per l’industria italiana.


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