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Vi racconto Armando Cossutta

C’è qualcosa nella vita e nella morte di Armando Cossutta, appena spentosi a quasi novant’anni, che consente di mettere in secondo piano la sua pur forte e lunga militanza politica, nell’area sempre e rigorosamente comunista, per restituirgli tutta intera la dimensione dell’uomo.

Fu un uomo fedele. Fedele a se stesso, ai suoi sentimenti, alle sue amicizie, alle sue illusioni. Tanto fedele, per esempio, alla sua compagna di una vita, da essere riuscito a sopravviverle solo di qualche mese. Tanto fedele al suo sogno comunista, da rischiare un infarto – mi confidò – quando lesse sul Corriere della Sera, negli anni della cosiddetta solidarietà nazionale con la Dc di Aldo Moro, ma anche di Giulio Andreotti, la famosa intervista nella quale l’allora segretario del Pci Enrico Berlinguer confidava a Giampaolo Pansa di sentirsi più sicuro sotto “l’ombrello della Nato” che sotto quello sovietico del Patto di Varsavia.

(UMBERTO PIZZI RICORDA ARMANDO COSSUTTA. FOTO D’ARCHIVIO)

Quella mattina il povero Cossutta aveva avuto l’imprudenza di leggere il Corriere prima dell’Unità. Se avesse seguito le precedenze abituali, si sarebbe risparmiato il malore. Forse pensando proprio a lui, quel furbacchione di Berlinguer, appena corretto e ricorretto il testo propostogli da Pansa, aveva disposto che quel passaggio dell’intervista non comparisse sul giornale ufficiale del partito. Cossutta si riprese da quel colpo con il conforto dei suoi compagni di Mosca, sorpresi e furenti come lui, ma convinti che le condizioni politiche nelle quali Berlinguer aveva maturato quella sortita sarebbero presto cambiate.

In effetti alla fine del 1978, dopo il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse, la collaborazione parlamentare fra il Pci e la Dc era già finita. E Berlinguer si sarebbe impegnato di lì a poco a contrastare in tutti i modi, in Parlamento e nelle piazze, la riparazione dell’ombrello della Nato, metaforicamente bucato dai sovietici con l’installazione dei nuovi, potentissimi missili SS 20 puntati nelle basi del Patto di Varsavia contro tutte le capitali dell’Europa occidentale, compresa naturalmente Roma.

Tutto sembrò a quel punto tornato a posto a Cossutta. Ma durò poco, perché solo un paio d’anni dopo Berlinguer, rispondendo in televisione a una mia domanda sul golpe militare avvenuto in Polonia per evitare un’ancora più traumatica invasione sovietica, com’era accaduto nel 1968 in Cecoslovacchia, se ne uscì con il clamoroso annuncio dell’esaurimento della “spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre”. Quella che in Russia aveva portato al potere Lenin.

(UMBERTO PIZZI RICORDA ARMANDO COSSUTTA. FOTO D’ARCHIVIO)

Cossutta reagì immediatamente a quello che definì uno “strappo inaccettabile”, organizzò il dissenso interno e convocò i compagni a Perugia. Dove, sotto le volte affrescate dell’antico Palazzo della Città, sfidò Berlinguer. Accorsi a quel raduno per riferirne ai lettori del Giornale, ma anche per portare a Cossutta un messaggio verbale del direttore Indro Montanelli, il cui anticomunismo non gli impediva di riconoscere al “ribelle” le doti del “coraggio” e della “coerenza”. “Questo proprio non me lo aspettavo”, mi disse, compiaciuto, Cossutta quando gliene riferii, strappandolo agli abbracci e ai saluti dei compagni.

Incontrai di nuovo Cossutta molti anni dopo al Senato, quando aveva già “rifondato” il movimento comunista frettolosamente sepolto da Achille Occhetto sotto le macerie del muro di Berlino. Lo vidi mentre i suoi ex compagni di partito alla Camera votavano per i processi a Craxi. “Una cosa ingiusta”, mi disse. Coerente ancora una volta con una storia di rapporti personali con il leader socialista, e consapevole del fatto che tutti, proprio tutti i partiti, compreso quello in cui lui aveva militato per una vita, si erano finanziati illegalmente.

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