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Vite sfregiate con l’acido, ecco la punizione che serve

Mai più colpire con l’acido. Con una sentenza severa per i criteri del buonismo legislativo e della misericordia giuridica che imperano nel nostro Paese, la magistratura di Milano ha stabilito un principio importante: sfigurare chicchessia – ma le vittime di solito sono giovani e in particolare donne – è un reato così abominevole per chi lo commette e devastante per chi lo subisce, da meritare una condanna esemplare. Non si spiegano altrimenti i sedici anni di carcere con rito abbreviato che il gup Roberto Arnaldi ha inflitto a Martina Levato per una serie di aggressioni con l’acido (e nove anni e quattro mesi al presunto complice Andrea Magnani). L’ex studentessa bocconiana era già stata condannata ad altri quattordici anni per aver sfigurato, ancora con l’acido, Pietro Barbini.

Naturalmente la giustizia seguirà il suo corso e ogni parte, a cominciare da quella degli imputati che parlano di “accanimento”, potrà far valere le sue ragioni.
Ma in un mondo dove ormai i comportamenti violenti tollerati o redarguiti con una tiratina d’orecchie sono di gran lunga superiori a quelli puniti, distinguere nell’illecito è fondamentale. La legge non può mostrare indulgenza alcuna quando si rovinano la faccia e la vita di una persona, minandone l’animo e costringendola a una serie di interventi chirurgici interminabili, e purtroppo neppure risolutivi in diversi casi. È una forma di violenza inaudita, perché totale: colpisce sia il fisico che lo spirito, sfregia la presenza e l’essenza di una persona. Ma nessuno deve permettersi di attentare a quello che siamo.

Nessuno deve poter pensare di ferirci vita natural durante. Proprio in queste ore Laxmi Agarwal, una ragazza indiana di ventisei anni sfigurata con l’acido, è diventata testimonial di una campagna a difesa delle migliaia di vittime tra India, Pakistan e Bangladesh assalite ogni anno con l’acido per aver detto di “no” a un uomo. Purtroppo l’orribile pratica è sbarcata anche da noi, come ricorda la drammatica vicenda di Lucia Annibali, avvocatessa trentacinquenne di Pesaro colpita, quando aprì la porta di casa, da due uomini per volontà di un ex che era stato lasciato.

Oggi anche Lucia Annibali racconta la tragedia subìta ovunque può, mostrando il volto sfigurato “per non dimenticare mai quanto male può fare il male”, come scrisse in un tweet amaro due anni e mezzo e ben sedici operazioni dopo il barbaro episodio. Ecco, il male ha bisogno di una sanzione inequivocabile.

(articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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