Martedì un attentatore suicida s’è fatto esplodere in uno dei luoghi più visitati di Istanbul, uccidendo 10 persone e ferendone altre 15 (di cui alcune in modo grave): erano quasi tutti turisti (e quasi tutti tedeschi). L’evoluzione dei fatti (raccontati in diretta anche da Formiche.net) è rappresentata dal corso delle indagini e dalle reazioni successive: per il momento persistono diversi lati bui nella storia, a cominciare dall’assenza di una rivendicazione sull’attacco, di cui tuttavia le autorità turche, a cominciare dal premier Ahmet Davutoglu, incolpano lo Stato islamico.
Il premier ha anche detto che forse lo Stato islamico potrebbe essere solo “una pedina” nell’attentato e si indaga su presunti «attori segreti dietro l’attacco» che avrebbero usato l’IS come “subappaltatore”: è una linea già seguita dal governo turco, che incolpa frange dell’opposizione di utilizzare questi metodi per sabotare il governo; allo stesso modo, le opposizioni incolpano il governo di utilizzare la “carta” degli attentati per creare terrore e destabilizzazione: una “strategia del terrore” che avrebbe come ultimo effetto il rafforzamento del controllo del potere istituzionale.
IL KAMIKAZE
Le autorità dichiarano che il kamikaze sarebbe Nabil Fadli, 28 anni, nato in Arabia Saudita ma di origini siriane, ed entrato proprio dalla Siria: aveva presentato domanda di asilo alle autorità turche il 5 gennaio, ed era insieme ad altre quattro persone quando si è recato nell’ufficio per fare la richiesta e schedare le proprie impronte digitali. «Questa persona non era seguita. Questa persona è entrata in Turchia come un comune migrante», ha detto Davutoglu: è dunque direttamente il governo turco a diffondere la notizia che l’attentatore è entrato come richiedente asilo mentre invece era un uomo del Califfato. Inoltre, dalle dichiarazioni del primi ministro, si evince che Fadli non era nella “lista di possibili attentatori suicidi” di cui lui stesso aveva parlato come rassicurazione dopo il terribile attentato di Ankara di ottobre 2015.
GLI ARRESTI
Mercoledì il ministro degli Interni turco Efkan Ala ha detto in una conferenza stampa che una persona è stata arrestata in relazione all’attentato: successivamente il numero dei fermati coinvolti con i fatti di Istanbul è salito a cinque, ma non è chiaro a che titolo. Il quotidiano Hurriyet ha scritto poi che altre nove persone sono state arrestate dalla polizia turca nella regione dell’Antalya meridionale e a Smirne lungo il litorale occidentale, della Turchia. Si tratta di elementi sospettati (tutti) di avere legami con lo Stato Islamico, anche se non si hanno notizie su un coinvolgimento con i fatti di Istanbul: il Consolato generale russo di Antalaya ha confermato che tre degli arrestati sono di cittadinanza russa: uno di loro è Aidar Suleimanov, facilitatore/reclutatore Isis, già ricercato anche dall’Interpol. Altre 21 persone sono state prese in custodia nell’area di Urfa, a pochi chilometri dal confine siriano (quelle zone sono state teatro degli assassinii degli attivisti “anti-IS” di Raqqa ad opera di killer del Califfato). Mercoledì, in tutto il paese, ci sono stati 65 arresti.
LA DINAMICA
Il ministro tedesco della Giustizia Heiko Maas, ha spiegato che non ci sono indicazioni concrete che l’attentato di martedì fosse diretto intenzionalmente contro la Germania, sebbene nove dei morti e undici dei feriti sono tedeschi. La linea che collegava alla Germania era stata tirata in ballo da alcuni osservatori, ma era sembrata improbabile fin dall’inizio, visto che nelle immediate vicinanze dell’obelisco di Teodosio, dove è avvenuta l’esplosione, l’affluenza turistica è molto alta e sarebbe stato molto complicato distinguere le nazionalità esatte dei turisti. Ciò non toglie, tuttavia, che le ripercussioni dell’attacco potrebbero essere confuse nel dibatto politico interno tedesco, e legate alle violenze sessiste avvenute la notte di Capodanno a Colonia e alla linea del governo di Berlino sull’immigrazione.
Dalle ricostruzioni, sembra che l’attentatore fosse stato sorpreso da un poliziotto, a quel punto si sarebbe diretto verso il punto con più persone accalcate per massimizzare l’effetto dell’attacco e si sarebbe fatto esplodere: la casualità ha voluto che fosse presente una comitiva di turisti tedeschi.
I POSSIBILI MOVENTI
In molti sostengono che si possa essere trattato di una vendetta dello Stato islamico contro la decisione turca di schierare un contingente militare a nord di Mosul, la capitale irachena dell’IS, considerato uno step up nell’abigua lotta che Ankara sta conducendo contro lo Stato islamico. Lo schieramento è stato in larga parte rimosso dopo che il governo di Baghdad si era indispettito per l’assenza di una richiesta di autorizzazione all’intervento: alcuni militari turchi tuttavia restano nelle aree del Kurdistan iracheno a fornire training avanzato ai Peshmerga, i miliziani curdi che combattono il Califfato. Domenica scorsa Ankara ha anche contribuito con il supporto aereo e dell’artiglieria a un’operazione delle brigate turkmene Liwa al Sultan Murat contro lo Stato islamico nell’area di Jarablus, a nord di Aleppo, in Siria: lo scopo era colpire il Califfato nelle zone più vicine al confine turco-siriano; un’attività in cui la Turchia è concentrata da mesi. Altri raid aerei turchi, tra Siria e Iraq, sono stati segnalati nelle ultime ore. Fonti locali parlano di numerose vittime tra le forze jihadiste, Associated Press addirittura parla di 200 baghdadisti rimasti uccisi.
Colpire il turismo. La strategia vista a Istanbul è simile a quella già applicata dallo Stato islamico in Egitto e Tunisia: colpire un luogo nevralgico nel tentativo di destabilizzare un paese che lega buona parte della propria economia al turismo. Eugenio Cau sul Foglio ha scritto che «l’Is non mira più ai suoi nemici locali in territorio turco (i curdi colpiti ad Ankara e Suruc o le forze di sicurezza turche. ndr) ma cerca di destabilizzare lo stato colpendo la sua economia e la sua credibilità». «Attacca le fragilità di Erdogan» in un momento in cui la Turchia «è sempre più isolata a livello internazionale» ed «è politicamente indebolita», immersa in una serie di conflitti sia reali (IS e curdi) sia diplomatici (la grande crisi con la Russia; la controversa lettura che l’Occidente ha di Ankara).
LA BOMBA CURDA
In uno sviluppo indipendente dai fatti di Istanbul, mercoledì i ribelli curdi hanno fatto esplodere un’autobomba in una stazione di polizia a Cinar, nella provincia a maggioranza curda di Diyarbakir. Almeno 6 persone sono morte e altre sono rimaste ferite. Nel sud turco, il governo è tornato in lotta aperta con le forze combattenti indipendentiste curde; è tutto molto complicato in Turchia, dove Ankara combatte militarmente i curdi di casa propria e aiuta (altrettanto militarmente) quelli iracheni, i peshmerga di Mosul. Diyarbakir, la capitale de facto del Kurdistan turco, è da settimane oggetto di una battaglia che ha già provocato la morte di 200 soldati turchi, 229 militanti curdi del Pkk e 188 civili, stando alle stime dell’International Crisis Group.