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Bail In, uno spettro s’aggira per l’Europa

giovanni, ROBERTO SOMMELLA, costituzione

Due fantasmi si aggirano per l’Europa: la sospensione del Trattato di Schengen e un’applicazione distorta del bail in. Il primo spettro, se davvero passerà la linea tedesca di creare una zona nel Nord dell’Unione dove di fatto verranno ripristinate le frontiere, che è giustamente invisa all’Italia, rischia di far crollare uno dei pilastri dell’integrazione comunitaria, la libera circolazione delle persone. Ma l’altro spauracchio, consistente nella nuova normativa sui criteri di salvataggio bancario, agirebbe come la seconda lama di un rasoio, recidendo anche la garanzia di circolazione dei capitali. Il perché è presto detto. Il presidente della Bce, Mario Draghi, si è detto preoccupato per un  recepimento ‘’non omogeneo’’ della direttiva europea sul ‘bail in’, e le sue parole dovrebbero suonare come un monito pesantissimo. La controriforma sugli aiuti al credito in crisi è in vigore dal primo gennaio di quest’anno e colpisce nel portafoglio, in caso di difficoltà di una banca, proprio azionisti, obbligazionisti e sopra i 100.000 euro anche i correntisti, creando, a seconda della stabilità o meno della suddetta, moneta di serie A e moneta di serie B. Anche così si possono peraltro spiegare i crolli in borsa dei giorni scorsi di molti istituti italiani, a partire da Mps e Carige, a prescindere dall’incauta lettera spedita a sei banche dalla vigilanza comunitaria. La gente ormai ha capito che se il proprio sportello va in difficoltà sarà chiamata a pagare. E se lo ha capito l’opinione pubblica, figuriamoci i mercati.

Applicare il bail in modo distorto, a seconda del paese d’origine, incide sia sulle scelte dei governi a tutela del risparmio che sulla sua stessa destinazione. Al posto di 19 reti di protezione (quanti i partners dell’Eurozona) se ne sta  creando una sola con maglie strette in alcuni casi (la Germania, che ha già messo le sue banche in sicurezza o la Spagna) o larghe (appunto, l’Italia). Prima non era così. Con le nuove clausole sull’autosalvataggio creditizio, oggi sarebbe impossibile per qualsiasi Stato europeo, laddove si rendesse assolutamente necessario, soccorrere con proprio capitale un grande istituto in difficoltà, estendere a tutti i depositi la garanzia pubblica o prevedere una rete del Tesoro alle emissioni obbligazionarie. Ed è difficile anche fornire una piccola garanzia statale per le bad bank, come dimostrano le faticose trattative in corsa tra l’Italia e Bruxelles. Nell’autunno del 2008, in piena crisi Lehman Brothers, tre provvedimenti del governo Berlusconi, d’intesa con la Banca d’Italia e la Consob, aprirono un ombrello proprio su banche, bond e conti correnti. Il riparo d’emergenza non servì, ma il solo fatto di averlo deciso, tenne per anni lontane dalle speculazioni le banche italiane.

Ora tutto è cambiato. L’unico ombrello che si può aprire è quello del Quantitative Easing per i titoli di Stato, mentre i regolamenti europei hanno invece imposto un regime autarchico proprio sulla garanzia del risparmio. Che ci sia spazio per impugnare però questa applicazione frettolosa – per alcuni non in odore di santità costituzionale – del capovolgimento degli oneri di salvataggio, effettuata, prima con la comunicazione del 2013 della Commissione sui salvataggi bancari e poi con la direttiva stessa sul bail in, lo ha confermato uno come Mario Monti, parlando ad Agorà. ”Ogni stato membro se ritiene che altri stati vengano trattati meglio può impugnare una decisione e ricorrere alla Corte di Giustizia Europea che potrebbe anche condannare la Commissione. Se l’Italia crede che la Germania, o altri, siano trattati meglio che le impugni le decisioni”, ha detto l’ex premier. Da una parte, dunque, il senatore a vita indica una strada per rimettere al centro la sovranità finanziaria di un paese membro; dall’altra, la voce e la figura più ascoltata in Europa come il presidente della Bce, ammette che un problema c’è se in alcuni stati vengono accettati gli aiuti di stato e in altri – come nel nostro caso – respinti al mittente, pur in presenza di una misera cifra utilizzata negli anni per rinsaldare gli istituti di credito con soldi pubblici, peraltro ben remunerati (4 miliardi di euro in tutto).

Che stia accadendo qualcosa nella circolazione dei capitali lo dicono poi i numeri, che di solito non mentono. MF-Milano Finanza ha calcolato come stia crescendo il rischio di credito delle banche europee sui mercati. Mercoledì 20 gennaio – prima del riarmo del bazooka QE che ha calmato per ora i mercati – lo spread sui credit default swap pagato sul debito degli emittenti europei monitorati dall’indice iTraxx Senior Financial di Markit si è impennato puntando a 95 punti base, poco lontano dal massimo di 100,5 pb di inizio luglio. Il generale crollo dei prezzi delle materie prime e delle borse internazionali, sta contagiando anche i bond delle banche, ritenuti oggi più a rischio proprio per l’introduzione della normativa di vigilanza internazionale relativa al bail-in: difficile dare torto agli operatori di mercato. A soffrire di più sono quindi i bond subordinati (come quelli emessi da alcune delle quattro banche salvate dal governo Renzi) e i titoli degli sportelli con un maggiore rapporto tra sofferenze e totale degli impieghi perché ci si chiede quanti soldi rientreranno e quanto peseranno le necessarie svalutazioni del capitale (il 20%? Il 30%?).

Gli indici Bofa mostrano poi che le obbligazioni ‘Additional Tier 1’ l’anno scorso hanno reso l’8% ai loro possessori, superando quasi ogni altra tipologia di debito, ha sottolineato il giornale finanziario.

E non è finita qui. Dall’Italia continuano ad uscire capitali più di quanti ne entrino. Oggi tiriamo un sospiro di sollievo fino alla prossima crisi, ma non andrebbero ignorati gli ultimi dati del Target 2, che indicano appunto come l’andamento di investimenti, pagamenti e bonifici transfrontalieri, abbia fatto registrare in dicembre un segno meno (-249 miliardi di euro) superiore a quello di novembre.

Cosa ci indicano questi numeri su profitti promessi e flussi di capitale? Semplice: se salgono i rendimenti offerti sui bond aumenta il loro rischio default, così come le norme Ue a macchia di leopardo spingono i soldi dei clienti verso altri lidi. E’ la regola aurea del mercato: il denaro va dove viene trattato meglio. Proprio come i profughi, che scappano verso i paesi più ricchi, sempre che Schengen glielo permetta ancora. Gli effetti finali della materializzazione dei due spettri sono simili. Gli investitori danno per scontata una cosa che non esiste più, la protezione statale del risparmio. Gli immigrati credono di essere accolti nel continente delle libertà nel momento in cui questi stessi principi vengono messi in discussione.

 


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