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I bizzarri intrecci di alcune inchieste giudiziarie

Naturalmente, meglio tardi che mai. Vale anche per la disponibilità annunciata dal capo della Procura di Palermo a riaprire con nuove indagini la tragica vicenda di Piersanti Mattarella, il governatore della Sicilia assassinato sotto casa su ordine della mafia la mattina della Befana del 1980.

Di quel delitto sono stati identificati e condannati sette mandanti, il gotha di allora di Cosa Nostra, ma è rimasto sconosciuto, e quindi impunito, il killer. Per quanto la vedova del povero Piersanti, presente all’agguato, avesse ritenuto di riconoscere l’assassino, in base all’identikit derivato anche dalla sua testimonianza, nel terrorista nero Giusva Fioravanti. Che però fu assolto in modo definitivo per quel delitto, condannato invece a otto ergastoli per altro, fra cui la strage nella stazione ferroviaria di Bologna, sempre del 1980, costata la vita da sola a 85 delle 93 vittime addebitate dai giudici alla sua carriera di terrorista.

Certo, siamo ormai abituati in Italia a misteri di lunghissima durata. Basta pensare al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro, avvenuti due anni prima dell’agguato mortale a Piersanti Mattarella, che peraltro era stato un moroteo convinto, come il padre Bernardo, ministro proprio con Moro.

Della tragica fine di Moro, e della sua scorta, sterminata in via Fani, a Roma, la mattina del 16 marzo 1978, si sta occupando dall’autunno del 2014 una nuova commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Giuseppe Fioroni e già pervenuta, come abbiamo appena riferito proprio qui, su Formiche.net, all’individuazione di fatti quanto meno inquietanti sottovalutati o ignorati dai processi ordinari e dalle indagini parlamentari susseguitesi, o inseguitesi, nei decenni precedenti.

 

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Ciò che francamente sorprende, di fronte alle sollecitazioni e alla possibilità di una riapertura giudiziaria, oltre a quella mediatica già avvenuta, del caso Mattarella è la circostanza, diciamo così politica, in cui ciò sta avvenendo. La circostanza cioè della sopraggiunta elezione del fratello di Piersanti a presidente della Repubblica. Per cui il trentaseiesimo anniversario della tragedia ha beneficiato – lo so, la parola può risultare sgradevole, ma così stanno le cose – di un’attenzione particolare, per quanto occorra riconoscere al capo dello Stato di avere gestito la ricorrenza con la sua consueta, consolidata sobrietà.

 

Sono stati insomma gli altri ad accendere i fari sulla scena, o ad aumentarne l’intensità, dando l’impressione, magari sbagliata, di volere onorare più il presidente della Repubblica che lo sfortunato fratello.

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Si è così assistito alla premura di consumati cronisti giudiziari di cercare e trovare “ammuffiti faldoni” di tribunale – si è scritto – per estrarne identikit e riproporli al pubblico, con la immediata e già ricordata disponibilità del capo della locale Procura a riaprire le indagini di fronte a fatti o elementi nuovi, fra i quali non si è francamente capito se si possano o debbano considerare anche quei vecchi identikit.

 

Ma è soprattutto accaduto che un magistrato di lungo, anzi lunghissimo corso come Pietro Grasso, attuale e forse ultimo presidente del Senato elettivo, e in quanto tale anche presidente della Repubblica supplente in caso d’impedimento del presidente effettivo, abbia tenuto ad esternare il sospetto, se non la convinzione, di “depistaggi” subiti dalle indagini sull’assassinio di Piersanti.

 

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L’elenco delle curiosità non finisce qui. Prosegue con il doveroso ricordo che il primo magistrato accorso sul posto del mortale agguato a Piersanti Mattarella fu proprio Pietro Grasso, sostituto procuratore di turno in quella maledetta mattina della Befana del 1980. Fu una circostanza davvero sfortunata per l’attuale presidente del Senato. Sfortunata sia per l’immane tragedia che si era consumata, e lo aveva professionalmente e umanamente coinvolto, sia per i depistaggi cui furono destinate le indagini, secondo i sospetti o le convinzioni dello stesso Grasso, sia per il killer rimasto sconosciuto.

Premesso doverosamente che non si possono certamente attribuire a Grasso tutte o le prevalenti responsabilità delle indagini cominciate quella mattina a Palermo, il presidente del Senato converrà che le inchieste depistate comportano qualcuno deciso appunto a depistare e qualche altro, sul versante giudiziario, non abbastanza bravo o soltanto attento per accorgersene. Lo ricordò impietosamente l’insospettabile Ilda Boccassini ai colleghi magistrati siciliani depistati nelle indagini, e relativo processo, per la strage di via D’Amelio. Dove la mafia il 19 luglio 1992 riuscì a sterminare a Palermo Paolo Borsellino e la scorta, meno di due mesi dopo avere sterminato Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti che li proteggevano.


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