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Che succede tra Corriere della Sera e Renzi?

I gufi, o rosiconi, come lui chiama gli avversari, e da qualche tempo anche quelli che semplicemente lo criticano, diranno che si tratta solo di uno strapuntino, ma Matteo Renzi sta per ridare un seggio all’Italia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Che dispone di 15 posti, dei quali 5 permanenti, spettanti a Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, che dispongono anche del diritto di veto, e 10 temporanei, della durata di due anni ciascuno, spettanti a Paesi votati ogni anno dall’Assemblea generale a blocchi di 5 per volta.

Quello dei seggi o membri non permanenti può sembrare uno strapuntino, ma non lo è. Non a caso sono sempre tantissimi gli aspiranti, ogni qualvolta si apre o riapre la partita, tantissimi e faticosissimi i negoziati internazionali nei quali si impegnano i vari governi, che misurano nell’occasione la loro autorevolezza e capacità di tessere relazioni, nelle varie aree geografiche e politiche, e tantissime le delusioni che rimediano, di volta in volta, gli aspiranti mancati al biennio di turno.

Se è vero che il diritto di veto riconosciuto a quelle che, alla fondazione dell’Onu, erano considerate le maggiori potenze per il ruolo vittorioso avuto nella seconda guerra mondiale, rende il Consiglio di Sicurezza loro ostaggio, è anche vero che quando non vi ricorrono, magari per ragioni di opportunità, e per i condizionamenti che anch’essi subiscono dai mutevoli equilibri internazionali, specie nelle aree più calde, i membri permanenti sono costretti a procurarsi l’appoggio dei membri temporanei. La maggioranza richiesta per ogni deliberazione è di almeno 9 voti su 15.

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Ammessa alle Nazioni Unite nel 1955, quando già da sei anni faceva parte dell’Alleanza Atlantica, e proprio per questo osteggiata più volte da Mosca, l’Italia esordì nel Consiglio di Sicurezza nel 1959 per rimanervi sino a tutto il 1960. Vi tornò nel 1971, nel 1975, nel 1987, nel 1995 e nel 2007. Vi manca quindi da 8 anni: più dei 3 che bastarono eccezionalmente nel 1975 per tornarvi e dei 7 trascorsi per il rientro nel 1995, ma meno degli 11 anni che furono necessari per i ritorni nel 1971, nel 1987 e nel 2007.

Pertanto, se riuscirà a riportare a breve il tricolore nazionale nel supremo organismo del Palazzo di Vetro, a New York, Renzi potrà dire di avere impiegato meno tempo della maggioranza dei suoi predecessori. E vantarsene. A questo scopo ha tessuto dietro le quinte una tela che ha portato alla luce del sole la scorsa settimana accennandone alla direzione del Pd. Forse ne parlerà per gli ultimi dettagli sabato a Berlino con la cancelliera Angela Merkel, in coda ai temi caldi dell’Unione Europea. Intanto si è procurato l’annuncio dell’appoggio dell’Iran, appena dato di persona a Roma dal presidente Hassan Rohani nell’incontro con il capo dello Stato Sergio Mattarella. Che il mese prossimo volerà negli Stati Uniti. Mentre Renzi si accinge ad un altro viaggio in Africa, dove già la diplomazia italiana ha lavorato di suo, e bene, per assicurarsi nell’assemblea Generale dell’Onu, fra gli oltre 190 paesi che vi sono rappresentati, i consensi necessari a quello che sarà pure lo strapuntino considerato, come si diceva, da gufi e rosiconi, ma è pur sempre la partecipazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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Di gufi e rosiconi Renzi è tornato ad avvertire la presenza nel Corriere della Sera. Prima con un editoriale inatteso e urticante di Paolo Mieli sui suoi rapporti muscolari con Bruxelles e sulla “retorica dell’orgoglio italico”. Poi con un editoriale meno inatteso ma ugualmente critico di Ernesto Galli della Loggia sui “dissidi istituzionali”, in particolare con Banca d’Italia e Ministero degli Esteri, rivelatori di una propensione di Renzi a “rompere gli equilibri”, ovunque ne avverta di scomodi per lui.

Gli amici del presidente del Consiglio, tempestivamente difeso sull’Unità dalle critiche di Mieli con un editoriale di Andrea Romano, avvertono un fantasma in via Solferino, a Milano: quello di Ferruccio de Bortoli. Che chiuse l’esperienza di direttore del giornale più diffuso in Italia dando a Renzi del “maleducato di talento“.

Ma al presidente del Consiglio preme ormai più il talento che lo stile. Egli ritiene che la sua, più che cattiva educazione, sia semplicemente franchezza. Magari ruvida ma sempre franchezza, al servizio di una politica che “il giovanotto”, come lo chiama un altro ex direttore del Corriere della Sera, Piero Ostellino, non ha mai scambiato per una cosa da educande. Solo il tempo ormai, breve o lungo che sia, potrà dargli torto o ragione.



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