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Chi attacca e perché Matteo Renzi

L’avevamo immaginato che, mano a mano che fosse andato avanti, Matteo Renzi sarebbe diventato l’obbiettivo privilegiato del vecchio mondo, quello ancorato ai riti, ai compromessi e ai ricatti della prima e della seconda Repubblica, nelle quali aveva prosperato.

C’erano state due personalità politiche che avevano sparigliato ed erano state oggetto di una forsennata campagna. Bettino Craxi che, non solo aveva cercato (e parzialmente c’era riuscito) di mettere in modo il paese istituzionale (tanto che in molti casi sembra l’anticipatore delle novità dell’oggi), ma aveva coltivato la prospettiva di un’aggregazione in chiave socialista delle due forze storiche della sinistra, i socialisti appunto e i comunisti. Craxi ha rappresentato un pericolo mortale per l’estabilshment di allora, soprattutto comunista che, privato della primazia, sarebbe stato costretto ad aprirsi alla società capitalistica come non aveva ancora fatto. L’assassinio politico del leader socialista è avvenuto per via giudiziaria – con una scelta selettiva dei reati e dei rei, che ha risparmiato il Pci – e con qualche forzatura costituzionale (il rifiuto di Scalfaro di firmare il decreto Conso sul finanziamento dei partiti).

Il secondo leader nei confronti del quale s’è riprodotto il meccanismo dell’attacco mediatico forsennato è stato Silvio Berlusconi. La sua uscita allo scoperto nel ’94 e la sua mezza vittoria che impedì alla gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto di prendere il potere, aveva acceso molte speranze nella borghesia nazionale, in attesa da sempre di una forte forza liberale capace di trasformare la società restituendole tutte le latenti capacità di intrapresa e di successo.

Non poteva essere così: da un lato la larga delega concessa a Gianni Letta, troppo uomo del passato e della Democrazia cristiana per potersi rendere interprete di una qualsiasi liberalizzazione, dall’altro le magagne che l’uomo di Arcore si portava dietro, compresa l’incapacità strutturale d’essere uomo di governo invece che di affari, infine l’anarchia del suo schieramento – sul quale non riusciva a esercitare l’effettiva direzione politica ch’era necessaria- condussero il centro-destra al fallimento di cui nessuno ormai può dubitare. Avevamo bisogno di Margareth Tatcher, ci siamo ritrovati con Silvio Berlusconi. Amen.

In qualche modo, contro Renzi s’è di nuovo formato uno largo schieramento mediatico che non comprende più, dopo il cambio di direzione (e le maliziose notizie sugli interessi di Carlo De Benedetti in Banca Etruria) il gruppo Repubblica, ma ha acquisito (in una forma così spiccata non s’era mai visto) il Corriere della Sera di Fontana, il giornale che in poche settimane ha riesumato Enrico Letta e che sta dedicando un’attenzione spasmodica a Banca Etruria (non a CariFerrara, non a Banca Marche, non a Cassa di Risparmio di Chieti) puntando la prua su Maria Elena Boschi.

A proposito della quale, è necessario sottolineare come anche lei sia obbiettivo di una campagna mediatica le cui connotazioni più evidenti sono lo scatenato sessismo (è una donna bella, volitiva e intelligente: cocktail micidiale) e la guerra di una parte del ceto politico femminile, spinto più dal livore che da un serio ragionamento politico e morale.

Quando Lilli Gruber, la più velenosa delle giornaliste televisive antigoverno, ha tentato di mettere sotto Maria Elena Boschi nella sua trasmissione, palcoscenico quotidiano di Travaglio, Scanzi e, ora, Sallusti, ha incontrato pane per i suoi denti, ricevendo dalla ministra una lezione completa, di bon-ton istituzionale, politico e personale. Lo schieramento mediatico in questo difficile momento nei rapporti con l’Europa e nella situazione delle grandi banche nazionali, dimentica che, nella seconda Repubblica l’Italia è stata inesistente a Bruxelles, anzi, in alcuni casi, i nostri ministri si sono comportati non da ministri della Repubblica, ma da agenti dell’Unione e, in alcuni casi, della Germania e che, quindi, nel momento in cui il nostro primo ministro alza la testa e dice la sua opinione differente e opposta al sussiegoso conformismo, contando sulle sue buone ragioni e sul fatto che uno Stato un voto (talché anche Cipro e Malta possono bloccare l’azione comunitaria, Grazie Prodi) sarebbe necessario sostenerlo nel confronto-scontro con l’Europa e con Angela Merkel. E dimentica altresì lo schieramento mediatico che se c’è un problema bancario, compreso il Monte dei Paschi di Siena e le 4 banche in discussione, esso viene da lontano e che non investe questo governo, ma il governo del sistema, affidato a Banca d’Italia e, in misura minore, a Consob.

Anzi, diciamocelo francamente: circola l’idea (attendibile) che i circoli massonici, da sempre vicini proprio a Banca d’Italia si siano mobilitati proprio per reazione alla proposta di Renzi di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle questioni bancarie. Da un inchiesta del genere, non sarebbe il governo a uscire con le ossa rotte, è chiaro. E non si capisce perché all’iniziativa sia stata messa la sordina. È facile fare il mestiere di nemico di Renzi. Si riscuote il consenso dei cadaveri eccellenti e si ottengono le prime pagine. Ma il mestiere di nemico di Renzi dovrebbe essere questione di politici.

Quando lo esercitano i giornalisti essi si lasciano prendere dal pre-giudizio e si trasformano in agit-prop (Agitatori Propaganda, gruppi organizzati dal Pci per diffondere le opinioni del partito tra la gente, nei mercatini, per le strade, sui bus). Una scelta indecorosa per un’attività che dovrebbe essere di informazione: non neutra, perché i giornalisti hanno il dovere di avere delle opinioni, tuttavia capace di rendere evidenti i dati del problema.

Se Renzi supererà questa ennesima tempesta (ieri è passata per l’ultima volta al Senato la riforma costituzionale), non si illuda, ne avrà tante altre ancora da affrontare ogni giorno da qui alle elezioni politiche.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

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