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Cosa farà Jim Messina per Matteo Renzi sul referendum

Uno degli aneddoti preferiti raccontati da Jim Messina (nella foto) è quello in cui ricorda quella volta in cui il presidente Barack Obama lo chiamò nel suo ufficio e gli disse: «Jim, devi lasciare il tuo posto!».
Messina era convinto di essere stato licenziato.
«Succede a tutti», pensò fra sé e sé.
Ma Obama aggiunse: «Voglio che tu guidi la campagna per la mia rielezione».
Fu così che da chief of staff (capo di gabinetto) della Casa bianca, Jim Messina si ritrovò catapultato alla guida della campagna più tecnologica della comunicazione politica moderna, quella del 2012.

Nel 2016 sbarca in Italia. Oggi, dopo aver guidato come consulente la campagna del 2015 per la rielezione del primo ministro britannico David Cameron, Messina sbarca in Italia.

Matteo Renzi l’ha voluto come consulente per la campagna referendaria prevista per l’autunno del 2016 sulla riforma del Senato, alla quale affida un’importanza strategica («Se perdo lascio, la mia esperienza è fallita», ha detto) per la costruzione del consenso al suo governo.

La notizia è stata data da Claudio Tito sulle pagine de la Repubblica.

Garanzia di vittoria. L’articolo analizza in maniera puntuale i motivi per cui Jim Messina è stato scelto dal premier: la sua capacità di garantire la vittoria.
La rielezione di Obama, quella di Cameron e il successo del ‘no’ nel referendum del 2014 per l’indipendenza della Scozia sono anche opera sua.
Quest’ultimo esempio è forse ancora più significativo: non si trattava infatti di una competizione elettorale tra opposti schieramenti politici, ma piuttosto dell’espressione di una scelta tra un sì o un no, senza che fossero coinvolti candidati.

Ma non siamo anglosassoni… Come Messina riuscirà ad adattarsi al contesto politico nostrano, di difficile comprensione per chi è abituato a gestire campagne politiche nel mondo anglosassone, non è ancora chiaro.
Quello che possiamo fare è concentrarci sulla strategia di fondo che il consulente americano può adottare per supportare la campagna referendaria indetta dal premier.
Messina si deve focalizzare presumibilmente su due temi.

Big data: centinaia di variabili per scegliere quali elettori contattare

Innanzitutto i big data. Come ricorda Claudio Tito, sulla homepage del sito del guru delle campagne di Obama campeggia la scritta: «Le migliori soluzioni si basano sui migliori dati».
Questi servono per individuare quali elettori contattare, in modo da selezionare solo quelli che con maggiore probabilità condividono la visione del premier e sono dunque favorevoli alle riforme costituzionali oggetto del referendum.

Dai consumi ai social. Per fare previsioni a livello individuale bisogna incrociare centinaia di variabili: i dati sui consumi commerciali e di voto, i comportamenti su internet e sui principali social network, le attività politiche intraprese nella precedente tornata elettorale.
Nel caso della campagna di Obama, i modelli di micro-targeting hanno consentito di individuare gli elettori che con più probabilità avrebbero votato il Partito democratico, che sono stati poi ricontattati per invitarli ad andare davvero alle urne.

Tempi di bassa affluenza. Si tratta di un’attività fondamentale, a maggior ragione in un periodo di bassa affluenza elettorale.
Per vincere è necessario prima di tutto portare al voto i propri sostenitori.

Door to door: i volontari devono bussare alle persone giuste

Il secondo elemento strategico è quello del porta a porta.
Un’attività che può suonare antiquata, ma che è in realtà quanto mai attuale.
È fondamentale in questo caso la capacità di costruire una campagna sul campo e una rete di comitati del ‘sì’ composti da volontari pronti a bussare a migliaia di porte.
Non si procede mai alla cieca, ma sulla base dei dati analizzati in fase diassessment.

Chiave del successo. Potrebbe essere questa la chiave del successo della strategia proposta da Jim Messina al presidente del Consiglio.
Per costruire una relazione tra i volontari e i cittadini è necessario molto tempo: è complesso passare dal contatto con una identità digitale, analizzata e scandagliata attraverso i big data, a quella reale dei soggetti da convincere.
Il passaggio dai dati alla realtà può sempre giocare brutti scherzi.

Minimizzare gli errori. La chiave del successo di Messina e del suo team risiederà nella capacità di minimizzare gli errori e di massimizzare le probabilità che i volontari bussino alla porte delle persone giuste.
La capacità di coinvolgere le persone sfruttando le potenzialità dei dati e degli strumenti digitali, è ormai un’esigenza ineludibile non solo per la politica, ma anche per le grandi aziende.

Palla al social engagement. Attraverso il social engagement è possibile mobilitare le persone per farle diventare i primi sostenitori di un partito politico, di un’azienda o di un brand.

E questo Renzi sembra averlo capito molto bene.

(articolo tratto dalla newsletter di Comin&Partners)


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