La sospensione del Trattato Schengen non è sul tavolo della Commissione Ue. Lo ha dichiarato ieri la portavoce Natasha Bertaud, dopo che alcune indiscrezioni avevano fatto pensare a una possibile rinegoziazione dell’accordo per arginare i flussi migratori verso i Paesi del nord Europa. Di fatto, però, sei Paesi hanno già rintrodotto i controlli alle frontiere – Francia, Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia – e altri potrebbero seguire se non si trova un accordo condiviso.
Matteo Renzi, sempre ieri, ha sottolineato la necessità di proteggere Schengen: “Dobbiamo essere i più forti a richiamare il valore dell’Unione Europea“, ha dichiarato il premier ai microfoni di Rtl 102.5. Intanto lunedì si terrà il vertice dei ministri dell’Interno degli Stati membri per discutere di compiti e funzioni della Guardia costiera e di frontiera europea, mentre i tre miliardi di euro che Bruxelles ha stanziato per bloccare il flusso di migranti dalla Turchia restano fermi in attesa del sì italiano.
Ecco fatti, numeri, commenti e scenari.
SEI SETTIMANE DI TEMPO
Bruxelles ha da sei a otto settimane per salvare Schengen e se nulla sarà deciso sul fronte migrazioni in primavera ci potrebbe essere un crollo irreversibile del sistema Europa. È lo scenario messo nero su bianco dal primo ministro olandese, Mark Rutte, al World Economic Forum di Davos, ma già espresso dallo stesso presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, negli scorsi giorni. In caso di “minaccia sistemica e persistente” alle frontiere esterne di Schengen – ha spiegato il portavoce della Commissione -, la Commissione Ue può proporre al Consiglio l’attivazione dell’articolo 26 del codice, che prevede la possibilità di introdurre controlli alle frontiere interne fino a due anni. La sospensione della libera circolazione, però, avrebbe un costo di circa 28 miliardi.
IL COSTO DELLE FRONTIERE
I controlli alle frontiere interne dell’Ue non si vedevano da vent’anni, eppure sei Paesi europei li hanno temporaneamente ripristinati (Francia, Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia) per far fronte all’emergenza migranti. L’eliminazione di Schengen significherebbe controlli sia sui singoli cittadini che sulle merci, si legge su La Stampa, e costerebbero per ogni veicolo 55 euro per ogni ora di ritardo, causa verifiche di frontiera. Si tratta di 60 milioni veicoli l’anno che porterebbero a una spesa di 1,6 miliardi ogni mezz’ora di attesa. Neanche gli eurocritici polacchi – appena saliti al governo – possono ignorare queste cifre, se si considera che “mandano 3,1 milioni di Tir ogni dodici mesi in Germania: fermarli 30 minuti equivale a tassarsi di quasi 100 milioni“, scrive Marco Zatterin sul quotidiano torinese. Non sono quantificabili, invece, i costi sulle merci, soprattutto quelle deperibili (ma si consideri che la frutta spagnola esportata in Danimarca deve passare almeno 4 frontiere).
QUANTO SPENDONO I SINGOLI STATI
“Per vigilare sul ponte che porta a Malmö – scrive La Stampa – la Danimarca spende 150 mila euro al giorno (fanno 50 milioni l’anno), senza contare che chi viaggia in treno (in 16 mila arrivano ogni giorno dalla Svezia) deve mettere in conto almeno mezz’ora di ritardo per lasciare che la sicurezza faccia il proprio lavoro“. Per la Germania rimettere in piedi le sue nove frontiere avrebbe un costo di minimo 100 milioni l’anno.
I LAVORATORI “PENDOLARI”
Sono poi da considerare i circa 1.7 milioni i cittadini che vivono in un paese e lavorano in un altro. Per loro i controlli valgono dai 3 ai 4 miliardi l’anno, se non si contano i cittadini che passano almeno una notte all’estero, con i quali il tetto sale a 5 miliardi, a cui si deve aggiungere il non quantificabile costo umano (in termini di tempo e opportunità).
STRESS TEST PER LE FRONTIERE ESTERNE
Una delle soluzioni che si discuterà ad Amsterdam lunedì per cercare di garantire la libertà interna all’Europa – e proteggere Schengen – riguarda il rafforzamento confini esterni. Il testo scritto dalla Commissione prevede un meccanismo di stress test per assicurare che la futura Guardia costiera e di frontiera sia in grado di far fronte ai flussi migratori che aumenteranno con la bella stagione. “Una volta entrata in funzione – scrive l’inviato a Bruxelles del quotidiano La Stampa –, la nuova Agenzia potrà inviare i suoi uomini a controllare tenuta e qualità delle porte dell’Unione, in Grecia come in Italia. Saranno effettuate vere e proprie prove di sforzo su risorse ed equipaggiamenti, sistemi di controllo e macchinari per le impronte. Si valuteranno anche i piani di emergenza predisposti dalle autorità nazionali“. L’approvazione dell’Agenzia e delle sue funzioni dovrebbe avvenire entro questo giugno e partire dal 2018.
I RISCHI PER L’ITALIA E LA GRECIA
Per l’Italia e la Grecia, gli unici due Paesi a non poter chiudere le frontiere sul Mediterraneo, il rischio con la chiusura di Schengen è che tutti i migranti arrivati via mare restino bloccati nei rispettivi Paesi di arrivo. Inoltre – ha spiegato Fiorenza Sarzanini sul Corriere – “una nuova rotta rischia di aprirsi, anche prima che si decida di sospendere Schengen. È quella che passa per l’Albania e il Montenegro, strada alternativa che potrebbe essere scelta dagli scafisti per ricominciare a guadagnare sulla pelle dei disperati, proprio come avvenne quindici anni fa“.
Per questo il ministro Angelino Alfano lunedì al vertice dei ministri dell’Interno europei ad Amsterdam chiederà di mantenere i valichi aperti, pur sapendo che i rapporti con i partner europei e con la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker non sono troppo distesi. “Non è affatto escluso – scrive ancora Sarzanini – che questa ipotesi di ripristinare i controlli rappresenti una forma di pressione nei nostri confronti proprio per cercare di ottenere collaborazione su altri dossier. O comunque di isolare il nostro Paese, proprio come è già accaduto quando è stato chiesto di rivedere l’accordo di Dublino o la distribuzione dei profughi“.
LA QUESTIONE TURCA
Sui migranti l’Italia preme anche sul fronte turco. I tre miliardi promessi dall’Ue alla Turchia, infatti, sono stati bloccati da Renzi in attesa che venga concesso lo 0,2% di flessibilità extra previsto dalla “clausola migranti” ma finora negato all’Italia. Renzi si è detto favorevole al versamento dei 200 milioni, “a patto che lo scomputo di quel denaro dai bilanci valga per tutti“.