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Gli Stati Uniti avranno una base anti Isis in Siria

Truppe americane avrebbero preso il controllo del campo di aviazione Rmeilan nella provincia settentrionale siriana di Hasakah. Lo utilizzeranno per sostenere la coalizione composta da curdi, arabi e cristiani siriaci, che combatte lo Stato islamico dal confine nord e ha il compito di scendere verso sud per tagliare i collegamenti a Raqqa, la capitale siriana dell’IS.

A rivelare la notizia è un portavoce delle Syrian Democratic Forces (SDF), ossia l’entità che fa da ombrello a quelle milizie combattenti, che ha parlato con Al Jazeera. È la seconda conferma del genere: due giorni fa anche un Situation Report della rivista specializzata Foreign Policy ne aveva parlato. Ieri poi, la BBC ha riportato delle analisi della società di intelligence Stratfor. E siamo a tre, dunque ora manca soltanto la conferma ufficiale.

GUAI GEOPOLITICI

Rmeilan, che diventerebbe la prima base con appoggio aereo americana in Siria, è controllata da oltre due anni dalle unità di difesa popolare dell’YPG, le forze curdo-siriane, a cui gli Stati Uniti hanno fornito armamenti e affiancato due team di forze speciali per fare da consulenti durante la missione su Raqqa. Ora i curdi, in cambio, hanno siglato l’accordo. Rmeilan si trova vicino al confine turco e iracheno, e sotto quest’ottica sarà interessante registrare la reazione di Ankara, che considera le milizie curde nemiche, in quanto alleate al Pkk.

Per comprendere il problema, due giorni fa la Turchia ha posto il veto per la partecipazione dei curdi ai tavoli negoziali sulla crisi siriana, e il motivo per cui li vuole fuori è semplice: i curdi siriani amministrano un territorio precedentemente auto-proclamato, il Rojava, che nel corso del conflitto ha acquisito sempre più indipendenza, perché il governo siriano non se n’è più occupato (gli unici scontri condotti dai curdi sono quelli con lo Stato islamico). Se, come sostengono alcuni analisti, alla fine del conflitto la Siria sarà “smembrata”, il Rojava sarà uno di quei nuovo territori a sé stanti. Ad Ankara però la situazione non piace, perché teme possa rappresentare un ulteriore motivo di scontro con i curdi di Turchia, che rivendicano anche loro un proprio territorio indipendente.

Il tutto va inserito all’interno del fatto che Stati Uniti e Turchia sono sia alleati nella Nato, che partner sotto la stessa alleanza operativa che combatte in Siria e Iraq i baghdadisti: Washington non solo offre armi e supporto diretto sul campo ai curdi siriani, ma ora offrirebbe anche un punto di appoggio logistico, legittimazione definitiva di quest’alleanza che i turchi odiano. Da notare che contemporaneamente americani e turchi stringono accordi di collaborazione militare per “cucire” il confine turco-siriano, considerato uno dei luoghi di transito per i rinforzi dello Stato islamico: gli Usa forniranno all’esercito di Ankara palloni aerostatici con telecamere per monitorare quelle aree. A siglare l’accordo operativo, la Casa Bianca ha mandato addirittura il vice presidente Joe Biden in Turchia, un affare che dunque interessa molto a Washington.

GUAI POLITICI

La questione ha anche un altro risvolto di politica interna in America. È noto da tempo che gli Stati Uniti stanno “preparando all’uso” il campo di Rmeilan, diversi osservatori hanno mostrato foto dei lavori di ampliamento di quello che è un campo volo di modeste dimensioni, utilizzato precedentemente da aerei agricoli, e che in previsione potrebbe andare ad ospitare l’atterraggio di elicotteri e soprattutto velivoli da trasporto aereo come gli Hercules; gli analisti di Stratfor hanno calcolato sulla base delle immagini satellitari, che la pista di atterraggio sarebbe stata allungata da 700 metri circa 1,3 chilometri (come si vede nell’immagine ripresa dal sito della BBC). Il punto è che questo rappresenta a tutti gli effetti un nodo contraddittorio, perché se da un lato la base garantirebbe la retrovia per le milizie impegnate e per le forze speciali americane che le affiancano, dall’altro significa anche che adesso i militari americani saranno individuabili in una struttura di raccolta, cioè saranno potenziali target fissi per attacchi dello Stato islamico. Per non parlare dell’aspetto operativo, perché è possibile che per i soldati statunitensi la base rappresenti il punto di appoggio che apre la strada a missioni “combat” sul campo, evenienza sempre negata dall’Amministrazione americana, molto temuta dall’opinione pubblica, ma che invece sembra sempre più configurarsi come una realtà; pochi giorni fa, in un video girato durante una battaglia sostenuta sempre dalle milizie curde, stavolta i Peshmerga in Iraq, s’è sentita chiaramente una voce parlare con un accento americano, e in molti hanno pensato che si trattasse di un soldato di Washington finito in prima linea durante gli scontri. (In questi giorni è arrivata anche la notizia che un commando di forze speciali francesi è entrato in scontro diretto con un gruppo di combattenti dello Stato islamico, in Iraq, nell’area di Mosul).

ALTRO ASPETTO, ASSAD

È quasi impossibile che il governo di Damasco non sia a conoscenza della possibilità che gli Stati Uniti inizino ad usare la base nel nord del Paese. Anche se il regime non ha né l’autorità né la forza politica e militare per contrastare la decisione unilaterale americana, questo significa che o gli americani stanno violando il territorio di uno stato (ancora, per quel che resta) sovrano, oppure che Washington ha fatto un accordo con il regime siriano e dunque riconosce in Bashar el Assad uno scomodo quanto imbarazzante partner nella lotta contro il Califfato.

Nella seconda ipotesi, quanto Assad sia affidabile, o quanto si ripeta quello visto negli anni della guerra in Iraq, quando la Siria sedeva ai tavoli di intelligence con l’Occidente, mentre faceva da base ai jihadisti sunniti e spingeva le milizie sciite contro i soldati occidentali, sarà il tempo a deciderlo.



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