Nell’omonima cittadina campana conquistata l’anno scorso con un 70,8 per cento dei voti a dir poco sospetto, vista la forte presenza della camorra nella zona, i grillini hanno perso un altro Quarto della loro decantata diversità. Sono incorsi negli stessi limacciosi pericoli o infortuni degli altri partiti che vincono le elezioni, e poi gestiscono il potere, dove la criminalità è sempre dietro l’angolo. Dove cioè può capitare a tutti, anche a un sindaco grillino – in questo caso la signora Rosa Capuozzo – di finire nei pasticci e nelle polemiche. E di dover essere brutalmente scaricato dal proprio partito, tra i soliti contrasti o sofferenze interne, sull’onda di processi sommari di piazza, intesa anche in senso elettronico.
In questi processi non manca mai l’intellettuale accusatore, che da pubblico ministero improvvisato reclama, e spesso ottiene, le dimissioni sacrificali di chi è capitato sotto tiro, a titolo di prenotazione della condanna o di salvaguardia dei soliti valori minacciati dell’onestà, della trasparenza, della democrazia e via salmodiando.
Ben gli sta, verrebbe da dire a Beppe Grillo e seguaci, che dei processi di piazza hanno vissuto per nascere e crescere politicamente, liquidando il garantismo come il solito, immancabile paravento dei corrotti e dei loro complici.
Ma basta forse ricordare ai grillini che la bandiera della diversità non ha mai portato fortuna a chi l’ha imbracciata come un’arma perché, come disse Pietro Nenni, c’è sempre qualcuno più puro di te che ti epura.
Anche Enrico Berlinguer, di cui Grillo si è qualche tempo fa proposto come continuatore, in polemica con quella parte di sinistra che ne discute l’eredità politica, si illuse ai suoi tempi della diversità comunista, e della possibilità di vincere solo per questo la partita contro avversari e concorrenti.