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Le mosse di Renzi e le insidie per l’Italia a Bruxelles

Dopo il semestre europeo che si è trovato a gestire poco dopo essere arrivato a Palazzo Chigi, l’interesse di Renzi per l’Unione Europea sembrava fosse evaporato. Troppi i fronti interni aperti per dedicarsi con convinzione ad aprirne di altri a Bruxelles. Per la quale notoriamente il premier italiano non va pazzo, giudicandola noiosa al pari dei tanti vertici ai quali gli tocca partecipare e preferendole visite di Stato in località più o meno esotiche.

Dunque, una certa sorpresa mista a curiosità hanno destato gli attacchi a man bassa di cui si è reso protagonista Renzi a metà dicembre in occasione dell’ultimo Consiglio UE dell’anno. Nel mirino del premier sono finiti il raddoppio del gasdotto North Stream e il (mancato) sistema UE di garanzia dei depositi. Ma più in generale il nuovo atteggiamento del premier, supportato da dichiarazioni e retroscena, segnalava la volontà dell’Italia di essere più presente in Europa e di non aver timore di sfidare apertamente la Germania, che vuole il raddoppio del North Stream dopo essersi messa di traverso l’anno scorso al South Stream (senza rinunciare contemporaneamente a chiedere la proroga delle sanzioni alla Russia) e che è a favore dell’unione bancaria ma non di uno strumento comune di garanzia dei depositi, che di un’unione bancaria degna di questo nome dovrebbe essere uno dei pilastri fondamentali.

Sul piano del merito, Renzi aveva senz’altro ragione da vendere ed è stato abile a scegliere due temi che espongono chiaramente le contraddizioni e le ipocrisie della diplomazia europea e in questo caso del suo Paese leader, la Germania. E l’ambizione dell’Italia di contare di più a Bruxelles non può che essere accolta con favore.
Tuttavia, perché ciò avvenga non basta ripetere in ogni occasione come un mantra che si è il leader più votato in Europa, grazie all’exploit nelle ultime elezioni del Parlamento europeo, e dunque quello la cui voce dovrebbe essere ascoltata di più. Questo è uno slogan facile che può essere usato con chi non sa nulla di come funzionino le cose europee e che peraltro nasconde la piccola grande contraddizione che Renzi vorrebbe avere maggior voce in capitolo in seno al Consiglio UE, che rappresenta la voce dei Governi, invocando il risultato raggiunto nell’elezione del Parlamento europeo. Si tratta di due istituzioni con ruoli distinti e spesso e volentieri conflittuali. D’altronde, non risulta che Renzi sia a favore di una maggiore delega di poteri al Parlamento europeo.

Dunque, fuor di demagogia, occorre costruire una strategia di lungo periodo per contare di più in Europa. Gli atti estemporanei, per quanto efficaci e opportuni, rischiano di fare più male che bene se non sono inseriti all’interno di un disegno fatto di un numero elevato di tasselli grandi e piccoli, che bisogna avere la pazienza e al contempo la forza e l’intelligenza di mettere in fila nel tempo, in maniera più spesso sotterranea che sotto i riflettori delle telecamere.
Tre vicende successive e ancora in divenire rivelano le insidie di questo percorso.

Partiamo delle dimissioni durante la pausa natalizia di Carlo Zadra, unico membro italiano del gabinetto di Juncker, Presidente della Commissione Europea. Di fronte alle proteste del Sottosegretario agli Affari Europei, Sandro Gozi, che chiedeva la possibilità di identificare un sostituto di nazionalità italiana, la Commissione Europea ha risposto che questo tipo di nomine sono fatte sulla base del merito e in piena indipendenza dagli Stati Membri. Sarà certamente così, fatto sta che i ruoli chiave del Gabinetto sono affidati in effetti a funzionari con passaporti ben precisi: il capo di gabinetto è tedesco (di fatto il ruolo amministrativo più importante della Commissione, insieme a quello di Segretario generale, anch’esso affidato a un connazionale della Cancelliera Merkel), la vice è spagnola, il principale consigliere economico è francese, il principale consigliere giuridico è britannico. Se le proteste di Gozi servono a rappresentare la volontà del Governo italiano di avere più italiani nelle posizioni apicali delle istituzioni europee, e in particolare della Commissione, vorrà dire che atti conseguenti dovranno seguire nei prossimi mesi e anni. Tranne rari casi, la sotto-rappresentazione dell’Italia nelle caselle che contano è evidente, pur essendo in aumento e di buona qualità la leva dei trentenni e quarantenni con passaporto italiano che lavorano nelle istituzioni comunitarie. Se invece si fosse trattato di una protesta episodica, a favore di telecamera o di agenzia di stampa, sarebbe stato compiuto un errore non di poco conto. Se qualcosa nella vicenda specifica fosse stato possibile aggiustare, certamente la polemica pubblica non ha favorito una soluzione di compromesso bensì un irrigidimento da parte della Commissione. Senza dimenticare che sparare un giorno sì e anche l’altro contro la Commissione a mezzo stampa, come sta avvenendo sempre più spesso, non sembra la strategia migliore per aumentare la simpatia verso l’Italia. Anche in questo caso, servirebbe molto di più lavorare sotto traccia con un’azione tenace e costante anche dura sui punti di disaccordo, come fanno altri Paesi che contano più di noi, piuttosto che ricorrere a fuochi d’artificio più o meno estemporanei e ad uso e consumo dell’opinione pubblica interna.

Che il lungo termine paghi a Bruxelles più del breve termine rischia di dimostrarlo anche un’altra vicenda, quella del raddoppio del North Stream. Secondo un’indiscrezione pubblicata con grande evidenza sul Corriere della Sera di domenica e ripresa da altri organi di stampa anche a livello europeo, l’Italia ha chiesto alla Russia, e presto farà lo stesso alla Germania, un ruolo per le aziende italiane nel North Stream. Di per sé non c’è nulla di scandaloso, anzi un Governo che favorisce gli interessi delle aziende italiane è generalmente da lodare. Tuttavia, se davvero le cose stessero così, la posizione di principio assunta nel Consiglio di dicembre, basata anche su una lettura geopolitica del tutto legittima del punto di vista dell’Italia che aspira a diventare un hub importante del gas a livello europeo, sviluppando le rotte mediterranee, potrebbe essere vista in una luce diversa, soprattutto dai tanti Paesi UE che non vedono di buon occhio il North Stream e che al contrario di noi non possono aspirare a nessun ruolo nel progetto. E di cui noi possiamo aver bisogno sui tanti dossier scottanti a livello europeo per trovare alleati. Siamo davvero certi che in cambio di un ruolo nel North Stream che sarà nella migliore delle ipotesi di retroguardia (rispetto almeno ai partner iniziali), abbia senso giocarsi la simpatia di tanti Paesi? Probabilmente non avrebbe avuto senso (e sarebbe andata contro i nostri stessi interessi) condurre una guerra esplicita contemporaneamente alla Germania e alla Russia ma cambiare bandiera nel giro di un mese rischia di rinverdire ricordi non proprio positivi dell’Italia e della sua coerenza a livello internazionale.

Infine, a dimostrazione che i tasselli italiani in Europa sono al momento tutti poco stabili e in attesa di essere allineati, un commento lo merita d’ufficio anche la vicenda del possibile spostamento ad altra sede dell’ambasciatore Sannino, il Rappresentante italiano presso le istituzioni UE. Si tratta di un posto cruciale, quello dal quale si irradia la capacità dell’Italia di posizionarsi sui vari dossier comunitari. Naturalmente, proprio perché la pedina è importante, un Governo ha tutto il diritto di cambiarla mettendo un diplomatico che ritenga più adatto al ruolo. Anche se occorre ricordare che i predecessori di Sannino, Cangelosi e Nelli Feroci, l’hanno occupata con governi di segno politico decisamente diverso rispettivamente per quattro e cinque anni. Sannino è a Bruxelles da 2 anni e mezzo ed è stato nominato dal Governo Letta.

In ogni caso, quello che più stupisce delle vicenda è che, nonostante indiscrezioni giornalistiche di un mese fa, anche in questo caso affidate curiosamente al Corriere della Sera e mai smentite dal Governo (anzi, sia pure in maniera un po’ sibillina, accreditate da dichiarazioni successive di Renzi), che davano per imminente e sostanzialmente già decisa in tutti i dettagli la girandola di ambasciatori, che avrebbe visto Sannino spostarsi a Madrid, rimpiazzato dall’attuale rappresentante a Mosca, da allora l’unico a muoversi è stato il consigliere diplomatico dello stesso Renzi che è andato a Washington. Nel frattempo, anche in questo caso, l’articolo sul Corriere della Sera è rimbalzato sui quotidiani e nelle cancellerie di tutta Europa, con possibile nocumento per la credibilità dell’attuale ambasciatore presso la UE e dunque delle posizioni stesse del Governo italiano da lui e dai suoi collaboratori veicolate ogni santo giorno. Dunque, sarebbe interesse di tutti chiudere rapidamente la faccenda, confermando o sostituendo l’ambasciatore con un messaggio comunque chiaro e definitivo. Mezzi ambasciatori servono a poco nella costruzione di una strategia italiana efficace. Che, al di là degli uomini che la interpretano, deve passare attraverso la capacità a Bruxelles come a Roma di essere molto più proattiva che in passato nella fase ascendente dei dossier comunitari, cioè allorquando si definiscono le norme che successivamente dovranno essere applicate a tutti i cittadini e imprese europei. Altrimenti resta solo la possibilità di lamentarsi quando ormai è inutile e anche dannoso farlo. Cioè quello che l’Italia ha fatto con indubbio talento per il melodramma per gran parte del processo di unificazione europea.


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