Lunedì sera un quarantenne di nazionalità italiana ha preso un treno alla stazione Termini di Roma tenendo in mano un fucile giocattolo: l’uomo è stato poi fermato ad Anagni, in provincia di Frosinone (una cinquantina di chilometri da Roma) e si è giustificato dicendo che quel fucile era un regalo per il figlio di otto anni. Nonostante pare che il personale di sicurezza della stazione avesse individuato subito che l’arma era un giocattolo, non ritenendo dunque necessari controlli ulteriori, l’allarme terrorismo è scattato lo stesso per le segnalazioni di alcuni passeggeri. L’uomo sembra che soffra di disturbi psichici scrive Repubblica, che comunque ha aperto il pezzo dedicato alla vicenda con le seguenti parole: «Un’ora di terrore alla stazione Termini di Roma».
È l’effetto Baghdadi: il sedicente Stato islamico sta seminando insicurezza, instabilità, ansia, apprensione, in una parola “terrore” in tutto il mondo. La serie di attacchi terroristici che si sono registrati negli ultimi mesi hanno calato un velo cupo in Occidente come in Oriente, perché dopo Parigi è toccato a Istanbul, e poi a Bamako, San Bernardino, Charsadda, Giacarta, ed ormai ci si chiede quale sarà il prossimo bersaglio.
L’Italia ovviamente non è immune a questo rischio, come ha ricordato la ministro della Difesa Roberta Pinotti intervistata da Paolo Valentino sul Corriere della Sera. Sempre lunedì è girata la notizia di un ragazzo marocchino di 25 anni, residente a Luzzi, un comune della provincia di Cosenza, considerato dal Servizio centrale antiterrorismo della Digos come un possibile foreign fighters italiano. Si chiama Hamil Mehdi ed è stato bloccato in Turchia mentre era diretto in Siria. È un episodio venuto a galla di una realtà che sicuramente tocca anche l’Italia: ci sono elementi anche nel nostro paese che vengono infervorati dalle predicazioni propagandistiche del Califfato, si auto-radicalizzano magari online, sviluppano contatti con personaggi che agiscono come reclutatori e poi partono per andare a combattere il jihad in terra califfale. L’indirizzo è la Siria, poi l’Iraq, ma con l’espansione libica c’è la possibilità che le rotte cambino, anche per una mera questione di vicinanza all’Italia.
L’ALLARME DELL’EUROPOL
Sarebbero tra i tre e cinquemila i potenziali terroristi al servizio dello Stato islamico in Europa secondo un rapporto dell’Europol diffuso a margine della riunione dei ministri dell’Interno europei lunedì. L’Europol aggiunge che ci sarebbero in preparazione nuovi attacchi terroristici da attuare nell’Ue e in particolare in Francia, «gli attacchi saranno anzitutto diretti a obiettivi ordinari, per sfruttare l’impatto che questo genera». Una strategia quella dell’Isis che secondo l’ufficio di polizia europea «sta diventando globale». Altri dati forniti: il 20 per cento di coloro che decidono di andare a combattere sottomettendosi al Califfo soffrono di problemi mentali, oltre l’80 per cento invece ha precedenti penali. Di più: «Oltre ai campi di addestramento in Siria, esistono campi più piccoli in Paesi Ue e dei Balcani, dove l’addestramento alla sopravvivenza permette di testare la forma fisica e la determinazione dei membri che aspirano a entrare nell’Isis. Le attività sportive, inoltre, vengono utilizzate per resistere agli interrogatori…».
Dall’Italia il “Casa” (il Comitato di analisi strategica antiterrorismo del Viminale) fa sapere che per il momento “nessuna minaccia specifica” interessa il Paese, ma come ironizza qualcuno su Facebook la frase “nessuna minaccia specifica” andrebbe eliminata dal gergo tecnico delle intelligence.
BLOCCARE SCHENGEN
Tra minacce e allarmi poco credibili e report approfonditi delle agenzie di sicurezza, quello che è sicuro è che il Califfo ha raggiunto l’obiettivo di non far vivere serenamente buona parte del mondo, limitandone le libertà.
La risposta non è solo la creazione (positiva se funzionerà. ndr) in seno all’Europol dell’Etct, il nuovo centro antiterrorismo europeo composto da una cinquantina di esperti provenienti dai vari paesi UE che avrà anche il fine di cercare un coordinamento tra le singole agenzie di intelligence. Perché è anche per colpa di quella minaccia, di quel terrore che i baghdadisti seminano per dottrina e strategia, che nel corso del vertice dei ministri degli Interni dell’Ue ad Amsterdam, Germania, Svezia, Danimarca, Norvegia, Francia e Austria (stati che hanno già reintrodotto i controlli alle frontiere per fermare i migranti in arrivo dalla Grecia) hanno chiesto di «congelare il trattato di Schengen» come scrive Politico.ue e di estendere i controlli fino a due anni. Questi Paesi hanno invitato la Commissione a preparare le procedure per l’attivazione dell’articolo 26 nell’ambito del codice Schengen ha spiegato il ministro olandese alla Sicurezza Klaas Dijkhof, presidente di turno del consiglio europeo (l’articolo 26 è quello che prevede di reintrodurre i controlli frontalieri: regola inserita nel 2013 dopo le Primavere arabe. ndr).
Osservato speciale in questo momento torna ad essere la Grecia: non c’entrano stavolta questioni economiche (non che Atene le abbia risolte), ma il flusso di migranti in arrivo da est, ossia dalla Siria, che secondo la Germania sarebbero sottoposti a controlli troppo laschi. Si ricorderà che alcuni dei terroristi e dei facilitatori dell’attentato del 13 novembre a Parigi, erano entrati e usciti liberamente dall’UE tramite le porte greche: tra questi anche il super ricercato Salah Abdeslam. Mercoledì la riunione dei commissari UE ha votato l’adozione del rapporto di valutazione sullo stato carente delle frontiere esterne (all’UE) greche: si tratta del primo dei quattro passaggi dell’iter verso un’eventuale attivazione dell’articolo 26 del codice Schengen.
«Mettere in discussione l’idea di Schengen significa uccidere l’idea di Europa […] Abbiamo lottato per decenni per abbattere i muri: pensare oggi di ricostruirli significa tradire noi stessi» ha scritto il premier italiano Matteo Renzi in una Enews. Anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano al termine della riunione Ue ad Amsterdam s’è mostrato sulla stessa linea di governo, definendo «salva per ora» Schengen; una visione molto diversa rispetto a quella dell’omologo svedese Anders Ygeman che quasi contemporaneamente dichiarava alla Reuters che «è troppo tardi» visto che ormai ci sono diversi paesi che hanno reintrodotto i controlli.
Una rapida carrellata: la Svezia sta pensando di espellere fino a 80.000 richiedenti asilo; la Polonia è pronta a porre il veto su qualsiasi nuovo piano di quote immigrati; e la Danimarca approva la norma sul prelievo ai profughi di denaro e oggetti di valore oltre i 1.300 euro, “perché contribuiscano alle spese di mantenimento e alloggio”; il 15 febbraio ci sarà un summit sulla crisi migranti tra paesi del gruppo Visegrad (cioè Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) che sono contrari alla ripartizione di quote e favorevoli al ritorno delle frontiere. Intervistata dalla Stampa, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, ha parlato di «rischio implosione» per l’Europa in caso di abolizione del Trattato di Schengen: «L’accoglienza deve essere comune». Meglio: dovrebbe, poi dietro c’è il terrore, vero, e molti che lo usano come strumento politico.
L’EFFETTO CALIFFO
Indipendentemente dal fatto che la discussione sul trattato di libera circolazione (e quella correlata sulla Convenzione di Dublino, ossia la determinazione dello stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee) coinvolga tematiche più ampie come le politiche di immigrazione e integrazione, una cosa è certa: lo Stato islamico ha alzato il livello della discussione, instillando il pericolo della propria minaccia fin dentro le sale dei bottoni di Bruxelles, portando i legislatori sul punto di sacrificare uno dei pilastri esistenziali della Comunità Europea e della libertà dei proprio cittadini, la filosofia della libera circolazione, sull’altare della sicurezza necessaria per prevenire potenziali (imminenti?) attacchi terroristici.
“I terroristi dell’Isis vogliono farci cambiare abitudini, ma non ci riusciranno” tuonavano i politici europei dopo i fatti di sangue di Parigi e davanti alle successive minacce: intanto, però, chiudono le frontiere.