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Perché è salutare il welfare aziendale

Perché lo sviluppo della contrattazione di prossimità sarebbe conveniente prima di tutto per i lavoratori? Qualcuno si è cimentato con un semplice conteggio (che prendiamo a prestito dal Corriere della Sera). Un aumento di 150 euro costa all’azienda 215 euro mentre nella busta paga del lavoratore ne arrivano solo 95. Se il medesimo importo viene scambiato con misure di incremento della produttività e della qualità del lavoro, sui 150 euro si applica un’aliquota del 10%, per cui al dipendente ne restano 135. Se poi la somma viene rivolta a finanziare prestazioni del c.d. welfare aziendale (previdenza e sanità integrativa, voucher a vario titolo, borse di studio, ecc.) il valore del beneficio non subisce decurtazioni di sorta: 150 euro sono e tali  rimangono. Va da sé che è indispensabile un certo equilibrio. L’ammontare del cuneo fiscale e contributivo nel primo caso – e pari a ben 120 euro (215 meno 95) – non è una rapina, ma il relativo gettito serve a finanziare e a garantire anche le grandi ed insostituibili strutture del welfare pubblico. In una fase come questa, tuttavia, implementare talune specifiche  voci, proprie della contrattazione di prossimità (aziendale o territoriale), servirebbe a ridurre il costo del lavoro per le aziende e ad accrescere il potere d’acquisto dei lavoratori.

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Il 2016  è cominciato sotto pessimi auspici: rallentamento della “locomotiva’’ cinese, grande incertezza sui mercati finanziari, nuovi venti di guerra in Medio Oriente, intensificazione degli attacchi terroristici dell’Isis, esperimenti nucleari (all’idrogeno?) nello Stato-canaglia della Corea del Nord (con buona pace della terribile coppia Razzi-Salvini, già ospiti entusiasti di quel regime sanguinario), chiusura delle frontiere nazionali da parte di taluni Paesi europei. Persino molestie sessuali di massa a Colonia e in altre città tedesche. In tale sconfortante contesto ci mancherebbe solo che il M5S vincesse le elezioni a Roma.

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A chi insiste ad evocare una salvifica separazione dell’assistenza dalla previdenza è appena il caso di ricordare che l’assistenza non è una dimensione dello spirito e non appartiene al novero delle possibili opinioni. In uno Stato di diritto sono considerate prestazioni assistenziali quelle che la legge definisce in tal modo. Nel nostro caso, si tratta delle prestazioni elencate nell’articolo 37 della legge n.88/1989 che ha riformato il bilancio dell’INPS, istituendo, appunto, la GIAS quale gestore degli interventi di carattere assistenziale. Il bilancio di questa Gestione è in pareggio perché lo Stato assicura, tramite la fiscalità generale, i trasferimenti che servono a finanziare le prestazioni che, per questo motivo, sono considerate assistenziali.

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