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Perché la furia di Isis porterà a nuovi confini in Medio Oriente

Il groviglio del Levante è ancora lontano dall’essere districato, eppure c’è già chi ipotizza di riorganizzare quei territori per prevenire il sorgere di nuovi conflitti. È il caso di John Robert Bolton, già rappresentante permanente degli Stati Uniti all’Onu, che ha presentato una mappa, da lui ideata, dove la Siria e l’Iraq di oggi sono rimpiazzati da quattro entità: un vasto Stato sunnita, uno Stato sciita corrispondente alla metà meridionale dell’Iraq, uno Stato curdo a nord e un piccolo Stato alawita sulle rive del Mediterraneo. Una proposta provocatoria, che non ha mancato di stimolare il dibattito degli esperti.

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Prendendo spunto dalla mappa di Bolton, proprio sulla situazione mediorientale si è tenuto un incontro al Circolo Canottieri Tevere Remo, organizzato dal socio Salvatore Toriello, con la presenza, tra gli altri, del generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa, e di tre ambasciatori che hanno profonda conoscenza del mondo islamico: Rocco Cangelosi, che ha rappresentato l’Italia in Tunisia, Maurizio Melani, che è stato a capo della missione diplomatica italiana in Iraq, e Laura Mirachian, già rappresentante di Roma presso il governo di Damasco.

“Le operazioni della coalizione anti-Isis, considerate le dimensioni sub-continentali del campo, sono meramente simboliche”, ha dichiarato il generale Vincenzo Camporini. “Da quindici mesi inviamo solo dieci aerei al giorno su uno scenario di vastità sub-continentale. Per fare un paragone, nel 1999 sul Kosovo, grande come l’Umbria, venivano effettuate centinaia di sortite al giorno e 450 velivoli erano schierati solo in Italia”.

Secondo l’ex capo di stato maggiore della Difesa, questa guerra dev’essere combattuta dalle potenze regionali: Iran, Arabia Saudita e Turchia, che hanno un interesse concreto a mettere i propri uomini in campo. L’occidente ha interessi minori, anche perché è diminuita rispetto al passato la sua dipendenza energetica dal petrolio dell’area: gli Usa ormai sono esportatori di energia, mentre l’Italia ha diversificato le sue fonti di approvvigionamento tra Russia e Libia.

Il mondo occidentale è dunque ‘tirato per la giacca’ in un conflitto che è interno alla galassia islamica. “Del resto – ha notato Camporini – è dalla rivoluzione khomeinista del 1979 che lo Sciismo è tornato ad essere un fatto politico, riaprendo un conflitto antico: lo scontro di oggi è paragonabile alla guerra tra cattolici e protestanti che nel Seicento insanguinò l’Europa per trent’anni”. La crisi che l’esecuzione del leader sciita Nimr al-Nimr da parte della monarchia sunnita di Riad ha innescato tra Arabia e Iran sembra rafforzare questa lettura degli eventi.

“È importante cercare di non farci coinvolgere in questo conflitto – ha proseguito Camporini – qualunque azione militare intrapresa dall’occidente deve essere a sostegno di un progetto politico preciso. Ma per un simile progetto la mappa di Bolton serve a poco, è irrealistica: al momento vi sono troppi interessi contrastanti per permettere una soluzione nel breve periodo”.

Secondo l’Ambasciatore Rocco Cangelosi, la mappa disegnata da Bolton è basata sulla stessa logica di quella tracciata da Gran Bretagna e Francia in occasione degli accordi segreti Sykes-Picot del 1916, con cui le due potenze delimitarono le rispettive zone di influenza nei territori orientali dell’Impero Ottomano, ormai prossimo al collasso. “Creare degli Stati sunniti, sciiti e curdi su base etnica e religiosa sarebbe pericolosissimo”, ha dichiarato il diplomatico. “Applicare un principio analogo al ‘cuius regio, eius religio’, che nel 1648 a Westfalia pose fine alla guerra dei trent’anni, significherebbe creare delle nazioni-polveriera pronte a esplodere di nuovo”.

“Dopo il rovesciamento di Saddam nel 2003, la monarchia sunnita di Riad non poteva consentire a una normalizzazione dell’Iraq sotto la leadership sciita voluta da Washington, e ha agito con intenti destabilizzatori”, ha osservato l’ambasciatore Maruzio Melani, sostenendo anche che il futuro del Medio Oriente dipenderà molto dal vincitore finale di questa guerra: “A questo proposito, la mappa di John Bolton manca di neutralità – ha chiarito – e riflette le conseguenze di una vittoria dell’Arabia Saudita. La Turchia, per esempio, non accetterebbe mai la nascita di un Kurdistan, al massimo quella di uno Stato curdo-iracheno, che sia suo vassallo”. 

“La mappa di Bolton ricorda quella che il serbo Slobodan Milosevic e il croato Franjo Tudjman disegnarono sbrigativamente al ristorante, su un semplice tovagliolo, negoziando la spartizione dell’ormai ex Jugoslavia in due zone di influenza”, ha sostenuto l’Ambasciatore Laura Mirachian, costruendo un paragone tra il conflitto in Siria e le guerre balcaniche. “Una simile mappa è incompatibile con il principio dell’integrità territoriale degli Stati esistenti, costantemente ribadito dalla comunità internazionale nei due incontri di Vienna in luglio e ottobre, nonché al G20 di Antalia, in Turchia, nel novembre scorso”, ha sostenuto Mirachian, suggerendo di attivare un “patto di stabilità” a livello regionale: un forum permanente dove i diversi soggetti statali, nonché la miriade di etnie e culture che popolano il Medio Oriente, possano dialogare. A questo proposito, è sempre l’esperienza delle guerre balcaniche a fornire un esempio interessante: gli accordi di Dayton, firmati nel 1995, che diedero una struttura alla federazione di Bosnia-Erzegovina.

“Semplicistica” è stata definita la mappa di Bolton da Alberto Negri, corrispondente dal Medio Oriente per Il Sole 24 Ore. “Anche in caso di sconfitta dello Stato islamico – ha detto il giornalista – garantire la stabilità regionale sarà un problema. Bisognerà vedere, infatti, come i reduci si reinseriranno nel tessuto sociale. Riassorbire questi veterani sarà una questione anche peggiore della normalizzazione dei reduci dell’Afghanistan: oggi sono di più, provenienti da più Paesi e meglio addestrati”.


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