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Perché l’Arabia Saudita ha provocato l’Iran

L’esecuzione dello sceicco Nimr Badr al-Nimr, figura carismatica dello sciismo più moderato saudita, può essere stata un delitto o un errore. Entrambi hanno sempre ragioni ben precise. Corrispondono cioè a obiettivi politici di chi li decide. Quali ragioni possano aver indotto le autorità saudite a decidere l’esecuzione dello sceicco?

LE REAZIONI ALL’ESECUZIONE

Non possono essere state tanto ingenue da ignorare che si trattava di una provocazione che avrebbe suscitato le proteste furiose degli Stati e delle loro minoranze sciite, e condanne da parte dell’Occidente. Quest’ultimo, dagli USA all’UE, pur con la lentezza e le cautele che sempre li contraddistinguono, ha condannato l’esecuzione di Nimr, come violazione della libertà di stampa, da un lato, e come strumento per accrescere lo scontro formalmente confessionale, ma in realtà geopolitico, fra sunniti e sciiti e i loro rispettivi “campioni”, l’Arabia Saudita e l’Iran, compromettendo i tentativi di pace in Siria e nello Yemen e l’intera strategia di Washington per il Medio Oriente. Mentre gli elementi più estremisti di entrambi i campi hanno giustificato o condannato l’esecuzione “senza se e senza ma”, gli esponenti più moderati, come il premier iraniano Rouhani, si sono sforzati di appellarsi alla calma, di evitare ogni escalation, violenza e richiesta di vendetta, da quella divina invocata contro la dinastia Saud dalla Suprema Guida iraniana, Alì Khamenei, a quella militare chiesta dalle Guardie della Rivoluzione Islamica.

ARABIA IN ARROCCO

I motivi che possono avere indotto i sauditi a effettuare in questo momento l’esecuzione e il re saudita Salman a non concedere la grazia a Nimr sono diversi. Li esamineremo, cercando di prevedere le conseguenze dell’aumento della tensione fra Teheran e Riad sulle prospettive degli equilibri mediorientali, in particolare sui processi di pace nel Yemen e in Siria. Secondo taluni, centrale sarebbe stato il rafforzamento della stabilità interna saudita. Un pilastro della dinastia è costituito dalla rigorista setta wahhabita, ai cui occhi la dinastia non può delegittimarsi. Ha perso prestigio, reagendo in modo troppo blando al “disastro” degli accordi sul nucleare iracheno, all’aumento dell’influenza di Teheran in Iraq e alla decisione americana di non intervenire in Siria per cacciare Assad, quando aveva superato, nell’estate del 2013, la “linea rossa” dell’impiego delle armi chimiche.

 

I TIMORI SAUDITI

Può darsi che abbia influito al riguardo anche il successo dell’esercito iracheno a Ramadi e il fatto che le milizie di talune tribù sunnite lo abbiano appoggiato, dimostrando che parte dei sunniti iracheni si sente legato a Baghdad, dominata dagli sciiti, che al sunnismo. Gli elementi sauditi più estremisti sono contrari ai tentativi USA di stabilizzare il Medio Oriente con quello che Obama ha chiamato “equilibrio competitivo” fra le tre potenze regionali – Arabia Saudita, Iran e Turchia – appoggiato dagli USA e dalla Russia. Lo considerano una perdita del loro “status” di protettori dei Luoghi Sacri dell’Islam. Non accettano che gli sciiti siano posti sullo stesso piano dei sunniti, che hanno finora dominato il Medio Oriente e che ammontano all’85% dei musulmani.

LE MIRE IRANIANE

Un secondo motivo, non contrapposto, ma che si combina con il primo, è l’interesse di Riad di provocare l’aggressività sciita per consolidare la Coalizione Anti-terrorismo, costituita, su iniziativa saudita, da 34 Stati sunniti, a cui potrebbe aderirne un’altra decina, tra cui l’Indonesia e l’Afghanistan. Beninteso ne è escluso l’Iran. Riad intende con essa ai costituire un “blocco sunnita”, che si opporrebbe alla prevedibile futura tendenza di Teheran di estendere ancora la propria influenza nell’Islam. I sauditi temono l’aumento della potenza iraniana per l’appoggio della Russia all’Iran, per l’attenuazione delle sanzioni – che permetterà a Teheran di accedere a 100 miliardi di dollari oggi bloccati in Occidente – e per i migliori rapporti tra Teheran e Washington, che ha voluto che l’Iran partecipasse a pieno titolo ai negoziati sulla Siria. Nonostante il colossale acquisto di armamenti, l’Arabia Saudita è consapevole di non poter fronteggiare militarmente l’Iran. Esso ha una popolazione più preparata tecnologicamente, un’economia e superiore di tre volte a quella saudita, un’economia diversificata, meno dipendente dal petrolio.

LE DIFFERENZE STATUALI FRA IRAN E ARABIA SAUDITA

La superiorità militare dell’Iran dipende soprattutto dal fatto che è uno Stato-nazione, dotato di un forte sentimento patriottico. Non è, come l’Arabia Saudita, uno Stato-tribale, incapace di mobilitare le energie dei propri cittadini per la sua difesa. Riad dipende per la sua sicurezza da un sostegno americano, sempre più incerto. Ritiene che le sue prospettive economiche non siano rosee, dato che il prezzo del petrolio rimarrà molto basso per un lungo periodo. Teme di non poter più ottenere l’obbedienza dei propri cittadini con generosi sussidi né quella dell’Islam sunnita. Deve consolidarsi finché le sue ancora enormi riserve valutarie gli permetteranno di conservare potere nell’Islam e nell’OPEC. Considerazioni interne ed esterne hanno pesato in modo analogo sulla decisione saudita di giustiziare Nimr. E’ stata una chiara provocazione che non avrebbe potuto restare senza risposta da parte del mondo sciita.

IL SILENZIO RUSSO

Interessante è stato il silenzio russo sull’esecuzione di Nimr. Mosca è stata sempre molto cauta. Ha cercato di essere neutrale nelle dispute fra sciiti e sunniti. I venti milioni di musulmani russi sono sunniti. La Russia teme di provocarne le proteste. Geopoliticamente, la Russia è legata all’Iran e ai gruppi che vi fanno capo: dagli alawiti di Assad al governo filo-iraniano di Baghdad. Molti dei foreign fighters dell’ISIS provengono però dalla Russia e dalla Repubbliche ex-sovietiche, soprattutto da quelle centrasiatiche. Nel suo machiavellismo, Putin spera di certo che si scannino in Siria e in Iraq e che non tornino a casa, tanto più che nel Caucaso è stato proclamato un Emirato, affiliato al Califfato e che il ritiro occidentale dall’Afghanistan accrescerà le turbolenze dell’Asia Centrale, in cui Mosca sta già aumentando la sua presenza militare. I media russi si sono limitati a riportare senza commenti la condanna all’esecuzione di Nimr e gli inviti alla calma fatti dall’Alto Rappresentante dell’UE, Federica Mogherini, le cui dichiarazioni sono generalmente ignorate.

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