Rimbalzate da Bruxelles per spiegare i motivi dei muscolosi rapporti con Roma, le voci di un progetto di elezioni anticipate cavalcate nel 2017 da Matteo Renzi per grattare la pancia agli euroinsofferenti di destra e sinistra, e ricavarne voti, sono state liquidate come una sciocchezza dall’interessato. Che ha colto l’occasione offertagli da un’intervista del direttore del Sole-24 Ore, dopo l’ultimo passaggio della riforma costituzionale al Senato, per dirsi sicuro che, una volta superato lo scoglio autunnale del referendum confermativo della stessa riforma, la legislatura procederà verso la scadenza ordinaria del 2018.
Per rafforzare l’annuncio, e metterlo nella cornice del cambiamento prodotto dal suo arrivo alla guida del maggiore partito italiano e poi anche del governo, Renzi ha lamentato l’abusata pratica delle elezioni anticipate nella storia della cosiddetta Prima Repubblica. Ma anche in quella meno lunga della seconda, durante la quale in meno di vent’anni, cominciando dal 1994, le Camere sono state sciolte prematuramente due volte: nel 1996 e nel 2008. Meno prematuramente, di un paio di mesi soltanto, anche nel 2013.
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In pratica, Renzi ha voluto invitare a stare sereni i parlamentari, specie i senatori uscenti, sacrificati come tacchini a Natale perché destinati con la riforma a non fare ritorno a Palazzo Madama. Dove potranno arrivare solo consiglieri regionali e sindaci, e rimanervi solo i pochissimi senatori a vita o di diritto.
Pertanto i senatori eletti nel 2013, in realtà nominati dai loro partiti grazie alle liste completamente bloccate, dovrebbero poter godere in pace gli ultimi due anni del loro mandato. Ma garanzie e serenità in politica sono volatili, come sa bene l’ormai ex deputato Enrico Letta, scalzato proprio da Renzi a Palazzo Chigi poche settimane dopo essere stato invitato a #staresereno.
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D’altronde, non è per niente detto che alle elezioni anticipate sia in assoluto preferibile la prosecuzione di una legislatura accidentata. Bettino Craxi ad Hammamet si mordeva ancora le mani per avere rinunciato nel 1991 alle elezioni anticipate che Francesco Cossiga, al Quirinale, era disposto a concedere. Prevalse la logica dell’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti che fosse “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Nell’anno residuo di quella legislatura accadde di tutto: anche l’esplosione di Tangentopoli, con l’arresto di Mario Chiesa a Milano.
Lo stesso Craxi nel 1987 aveva chiesto all’allora segretario della Dc Ciriaco De Mita, smanioso di staffetta per rimettere un democristiano a Palazzo Chigi, perché mai volesse accollarsi l’onere politicamente altissimo di gestire al governo l’ultimo anno della legislatura, in un’affannosa rincorsa delle richieste e degli umori degli elettori. E infatti De Mita gli tolse la presidenza del Consiglio per andare subito alle elezioni con Amintore Fanfani, negando al segretario socialista, con il sofferto aiuto di Cossiga al Quirinale, il diritto che reclamava di gestire lui il passaggio delle urne, dopo avere ben governato per quattro anni consecutivi. Egli aveva, fra l’altro, riportato l’inflazione a una cifra con i tagli alla scala mobile duramente contestati per via referendaria dall’opposizione comunista.
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Per quanto esclusa a parole col dichiarato proposito di portare a termine regolarmente la legislatura, la tentazione di Renzi di accelerare le elezioni di un anno, anticipandole dal 2018 al 2017, potrebbe nascere da una ragione politica generale e da una di partito.
La ragione politica generale sta nel sostanziale esaurimento del programma di governo, una volta ottenuta la ratifica referendaria della riforma costituzionale. Resterebbero a Renzi solo le rogne di un lunghissimo anno e mezzo pre-elettorale, in cui dovrebbe difendersi dagli imprevisti impopolari e dalle pressioni delle opposizioni e di una parte della maggioranza, compresi gli “affiancati” di Denis Verdini, per modificare la nuova legge elettorale. L’obiettivo, si sa, è di ripristinare il premio di coalizione, al posto del premio di lista voluto con tanta forza dal presidente del Consiglio.
A Renzi rimarrebbe solo da completare la riforma del Senato con la legge ordinaria alla quale è stato deciso di demandare le modalità di elezione della nuova assemblea da parte dei Consigli Regionali, per dare agli elettori degli stessi Consigli l’impressione di parteciparvi. Questo fu il faticoso e pasticciato compromesso raggiunto soprattutto fra maggioranza e minoranze del Pd per sbloccare l’anno scorso la riforma.
La ragione di partito che potrebbe tentare Renzi alle elezioni anticipate sta nella scadenza congressuale del Pd, fissata proprio nel 2017. Se fosse anche l’anno delle elezioni, il congresso sarebbe per il già forte segretario, e presidente del Consiglio, una passeggiata. E per quel che rimane della sua opposizione interna una rovina.