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Smart Work, i 5 miti da sfatare sul lavoro agile

La notizia, pubblicata di recente dal Corriere della Sera, è che Snam, non Google o Microsoft, ha deciso di adottare lo Smart Work, la nuova flessibilità che supera la dicotomia tra lavoro da casa e lavoro in ufficio. Anche il governo se ne sta occupando attraverso un disegno di legge attualmente nell’agenda del Consiglio dei ministri. Il crescente interesse sul tema è dovuto ai guadagni di produttività – tutte le ricerche svolte stimano una crescita della produttività che varia, a seconda dei casi, dal 15 al 45% – e alla riduzione dell’inquinamento dovuto alla riduzione dei trasferimenti casa lavoro.

Lo smart work incontra tuttavia diverse perplessità, legate al controllo manageriale, la responsabilizzazione e la collaborazione all’interno del gruppo. Per questo motivo gli esempi aziendali di maggior successo sono basati su una trasformazione culturale dell’impresa, che prepari le persone ad adottare efficacemente i nuovi stili di lavoro. Ci sono cinque convinzioni diffuse, ma non sempre palesi, che possono rendere difficile l’introduzione del lavoro agile.

5 Miti da sfatare

1) “Le persone potrebbero approfittarne lavorando meno”: si tratta, in senso più generale, della preoccupazione legata ai compiti di controllo e coordinamento del manager, che nell’organizzazione attuale si basano sulla presenza fisica del collaboratore.

2) “Non ho la persona presente che mi può dare una mano nel momento del bisogno”: il lavoro non è fatto soltanto di attività programmate, ma di attività la cui esigenza emerge in modo dinamico durante la giornata, può trattarsi di una richiesta interna o di un’emergenza nel rapporto con il cliente.

3) “Piu’ ore trascorse in ufficio, migliore prestazione lavorativa, migliore apprezzamento da parte del manager”: si tratta di un tema che presenta due aspetti, da una parte, la tendenza del manager a valutare la prestazione sulla base del numero di ore trascorse al lavoro, dall’altra, il luogo comune, secondo il quale fa carriera chi si trova “in corridoio al momento giusto”.

4) “Il gap informativo di chi lavora lontano dall’ufficio”: una serie di informazioni si scambiano in modo informale nel contatto giornaliero tra le persone.

5) “L’innovazione alla macchinetta del caffè”: Marissa Mayer, CEO di Yahoo, ritiene che l’innovazione nasca dal lavoro di gruppo, e, spesso, attraverso interazioni informali, che richiedono che si lavori in presenza.

Che cosa è chiamato a fare il manager per guidare la trasformazione culturale e superare le barriere menzionate?

– Sicuramente focalizzarsi sugli obiettivi, valutare i risultati, ed aiutare il collaboratore a essere più autonomo, diventando il coach che supporta la sua crescita professionale.
– Migliorare la pianificazione, per non avere bisogno che le persone siano costantemente presenti.
– Assicurare che vi sia il mix corretto di attività individuali e di gruppo, al fine di promuovere sia la collaborazione che la concentrazione: smart-work non significa lavoro remoto, ma poter scegliere il luogo e il tempo di lavoro in modo da conciliare le esigenze organizzative e personali. In questo modo non si perdono né i benefici dell’interazione né quelli del lavoro di gruppo.
– Creare spazi di creatività: non ci possiamo accontentare delle idee originali che emergono spontaneamente. L’organizzazione di attività come task force e laboratori fanno in modo che innovazione e cambiamento accadano effettivamente.
– Creare una rete di scambio informativo: riunioni, forum online, e social media sono i mezzi, la cui utilizzazione deve divenire sempre più strutturata e sistematica.
– Infine, essere attento e proattivo nello scoprire le esigenze del collaboratore: poiché lo smart-work non è una taglia unica per tutte le misure, impegnarsi nel comprendere le inclinazioni personali di ognuno nella gestione del proprio tempo, permette di rendere il lavoro agile un’esperienza motivante per le persone e proficua per l’organizzazione.

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