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Ecco perché Davos boccia Trump e Sanders

Meglio Donald Trump di Ted Cruz, anche se né l’uno né l’altro sono granché: la pensa così l’eroe di guerra Bob Dole, ex senatore e, soprattutto, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 1996, sconfitto da Bill Clinton.

Ai media Usa, Dole, che ha dato il proprio appoggio a Jeb Bush, ha detto che Cruz, senatore del Texas, favorito dei Tea Party, condurrebbe i repubblicani a una clamorosa sconfitta e che solo Trump, oggi, può batterlo. Quindi, dovendo scegliere fra uno dei due, meglio il magnate dell’immobiliare: “Penso che sarebbe in grado di lavorare con il Congresso, perché ha la giusta personalità e sa fare affari”.

Secondo Dole, Trump avrebbe anche possibilità di successo contro la (probabile) candidata democratica Hillary Clinton, mentre l’ex first lady non faticherebbe a battere Cruz: “Vincerebbe in un giro di valzer”.

Se non ha il voto di Dole, Trump non ha neppure quello dei grandi manager e degli uomini d’affari di tutto il mondo, che, riuniti in questi giorni al Forum di Davos, si sarebbero mostrati preoccupati, in un incontro a porte chiuse organizzato dal Wall Street Journal, dall’ondata di populismo che attraversa l’Ue e gli Usa: temono Trump e temono pure il suo opposto Bernie Sanders, il senatore del Vermont che si definisce ‘socialista’, ma tirano un sospiro di sollievo pensando che sarà la Clinton il prossimo presidente.

La stampa passa al setaccio la famiglia di Cruz

Sul conto di Cruz, dopo l’infelice vignetta del Washington Post sulle sue figlie di 4 e 7 anni, raffigurate come scimmiette, il New York Times tira fuori la storia di una depressione della moglie Heidi, che, nel 2005, avrebbe forse tentato il suicidio. La fonte è un rapporto di polizia del Texas del 2005, poco dopo il trasloco della coppia ad Austin, capitale del Texas, dove Ted era procuratore generale (Heidi lasciò un posto alla Casa Bianca). Proprio Cruz scrive nel suo libro ‘A Time for Truth’ che il trasferimento in Texas condusse Heidi “a un periodo di depressione”. Ora, la moglie del senatore lavora per Goldman Sachs, ma s’è messa in aspettativa per stare più vicina al marito in campagna.

Uno spot della figlia Ivanka per papà Donald

La campagna di Donald Trump diffonde in Iowa e New Hampshire un nuovo spot radiofonico di cui è protagonista la figlia Ivanka, che parla dell’influenza che il padre ha avuto su di lei. Solo nello Iowa, i candidati avrebbero già speso 6,5 milioni di dollari in annunci televisivi e radiofonici, secondo uno studio del Guardian, secondo i cui calcoli le quattro stazioni commerciali di Des Moines hanno già mandato in onda oltre 10mila spot.

Una gaffe di Jeb (non la peggiore)

Jeb Bush sbaglia il nome della figlia del presidente Barack Obama – la chiama Malala, come il Nobel per la Pace, invece di Malia, e l’anno di un Vertice con la Cina, dice 2009, è il 2013. Errori tutto sommato veniali, ma che non sfuggono ai media Usa. Bush parlava al Council on Foreign Relations di New York e stigmatizzava il fatto che la fist lady Michelle non accompagnò Obama a un incontro a Palm Spring con il leader cinese Xi Jinping accompagnato dalla moglie Peng Liyuan perché “preoccupata per il compito di scienze della figlia”.

Per ulteriori approfondimenti sulle elezioni presidenziali americane, clicca qui per accedere al blog di Giampiero Gramaglia, Gp News Usa 2016



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