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Vi racconto la liberale durezza del mite Valerio Zanone

Questa, di morire prima di me, per giunta senza darmi il tempo di andarlo a trovare per un’altra, l’ultima occasione dei soliti scambi veloci di idee, che lui sapeva esprimere sempre con una semplicità pari alla coerenza, non doveva farmela il mio amico Valerio. Valerio Zanone, naturalmente, il segretario di un partito liberale dove potevi considerarti a casa anche senza esserne iscritto, e a volte senza neppure votarlo, temendo di sprecare il voto nella rincorsa che si facevano, a volte persino malvolentieri, democristiani e comunisti.

Mite nelle apparenze, Valerio era ideologicamente e politicamente un duro, per niente incline a fare sconti agli amici, o alleati, e tanto meno agli avversari. Attribuiva, scherzando, la sua coerenza alla filosofia estetica in cui si era laureato.

Fu un eccellente ministro dell’Ambiente e dell’Industria con Bettino Craxi e della Difesa con Ciriaco De Mita: due uomini che, pur formalmente alleati come segretari dei rispettivi partiti, il Psi e la Dc, non potevano essere più diversi. Zanone, come il suo successore Renato Altissimo, propendeva per Craxi, il cui avvento alla guida del partito socialista lo spinse nel Pli all’adozione, con il nostro comune e carissimo amico Enzo Bettiza, della linea cosiddetta del “lib-lab”, contrastato da una minoranza che preferiva il recinto e le false certezze del “lib-lib”. Ma la preferenza per Craxi non gli impediva una certa realistica tolleranza, o indulgenza, per De Mita.

Fra le macerie politiche del crollo del muro italiano provocato dal terremoto di Tangentopoli, e dalla gestione che ne fece una magistratura troppo spesso di parte, Valerio Zanone si mosse con quella che lui chiamava ironicamente “mascherina”, come sarebbe accaduto poi ai sopravvissuti e soccorritori della tragedia delle torri gemelle di New York. Una mascherina che lo portò a diffidare nel 1994 dell’avventura politica di Silvio Berlusconi, pur ammirandone le qualità d’imprenditore, e avendone difeso le televisioni dall’assalto dei pretori e delle milizie del monopolio della Rai-Tv. Egli preferì dare credito, piuttosto, all’Ulivo di Romano Prodi: lui, al quale l’olio non piaceva neppure tanto. Ma la mascherina gli permise di non andare oltre i colori e l’odore della Margherita di Francesco Rutelli, dove si ritrovarono tutti i “post” possibili e immaginabili: democristiani, ambientalisti, radicali, liberali. Ma, ritrovatosi pure lui, con gli altri, nel Pd nato nel 2007 dalla fusione fra margheritini e post-comunisti, il povero Valerio non seppe resistervi a lungo, seguendo l’altrettanto deluso Rutelli nell’uscita.

Addio, Valerio. E grazie per le pillole di saggezza, mitezza e buon umore che ogni tanto sapevi e volevi dare pure a me, anche quando, ministro della Difesa, eri circondato da tanti generali e sbattimenti di tacchi. E non vedevi l’ora di farti salutare meno militarmente dai vigili urbani come sindaco della tua Torino.

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