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Affitti, multe e Imu. I dati sorprendenti su Roma e Milano

Terzo articolo di una serie di approfondimenti. Il primo articolo si può leggere qui, il secondo qui  e il terzo qui

Si dice, ed è vero, che “le aree di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo e Torino, sommate tra loro, raggiungano complessivamente una superficie di poco superiore” a quella di Roma: 136,800 ettari; contro i 129 mila della Capitale. Seguono due domande. La prima è retorica. Può una città che è sette volte Milano ed ha il doppio della popolazione vivere con un bilancio le cui entrate sono inferiori di 1 miliardo – come mostra l’ultimo bilancio preventivo – a quelle del capoluogo lombardo, Le cui risorse complessive nette sono una volta e mezza quelle della Capitale? Sarebbe più facile per un cammello passare per la cruna di un ago.

La seconda domanda è più inquietante: perché? Perché le elite politiche che hanno avuto incarichi di governo nella città non hanno denunciato quest’evidente contraddizione? Perché hanno accettato che la loro città non solo fosse trattata come una cenerentola, ma continuamente vilipesa da chi urlava nelle piazze “Roma ladrona”? Disinteresse? Difesa del proprio micro-potere? Una politica malata di narcisismo individuale? Non sapremo. L’unico dato certo è il carattere lumpen di quel sottofondo culturale. Riflesso di una mancata consapevolezza di sé e del proprio ruolo.

NUMERI A CONFRONTO

Tra imposte e tasse, i romani assicurano al Comune il 46 per cento delle entrate complessive. I milanesi solo il 23 per  cento: due miliardi e mezzo, contro 1,2. In entrambi i casi il resto delle entrate è assicurato da attività che non toccano le tasche dei cittadini, ma sono solo il riflesso di una diversa efficienza amministrativa. Ne deriva che se Roma seguisse la via tracciata da Milano, a parità di carico  fiscale, potrebbe avere alla fine non 5 ma 10 miliardi a bilancio. Il che non è poco per una città ridotta nelle condizioni – si pensi solo alla manutenzione delle strade – della capitale.

ROMA-MILANO

Vivere a Roma rappresenta, quindi, una doppia iattura. Pochissimi servizi, degni di questo nome, ed un’oppressione fiscale che non trova riscontro in nessuna altra parte d’Italia. L’addizionale comunale sull’Irpef è pari allo 0,9 per cento, contro lo 0,8 di Milano. Poca cosa: si dirà. Deve essere, tuttavia, sommata alla stessa addizionale regionale – anche questa la più elevata in assoluto – che è pari al 3,3 per cento contro l’1,73 della capitale lombarda. Su un imponibile medio di 35 mila euro, questo maggiore carico fiscale incide per l’1,67 per cento. Ed a Milano il reddito medio è del 30 per cento superiore a quello di Roma. Cornuti e mazziati: verrebbe da dire.

I BUCHI NERI

Nel dettaglio il confronto delle cifre mostra dove sono collocati i grandi “buchi neri” della Capitale. La cui diffusione è tale da riguardare l’intera attività amministrativa del Comune. Talmente radicata in quelle strutture da reggere all’usura del tempo. Basti pensare a quello che succede negli immobili di proprietà pubblica. Non solo non censiti, nella loro latitudine. Ma spesso dimenticati, al punto che oggi molte abitazioni possono essere “usucapite” da inquilini che, per anni ed anni, non hanno versato un centesimo. O meglio una lira: visto che la loro occupazione risale ai bei tempi andati del vecchio conio.

EFFETTO TRONCA

Ci voleva, quindi, un “milanese”, come il Prefetto Tronca, per fare in piccolo quello che i Piemontesi avevano fatto su larga scala, contro la “mano morta” della grande proprietà ecclesiastica. Le due relazioni, presentate alla Magistratura contabile e quella penale, descrivono, tuttavia, solo la punta di un iceberg. Il danno ipotizzato di circa 100 milioni all’anno, per la casse del Comune, rischia di essere ben poca cosa. Milano prevede a bilancio entrate extratributarie pari a 1,3 miliardi. Roma si ferma a quota 940 milioni. Con il doppio della popolazione, se gli standard fossero gli stessi, le entrate effettive dovrebbero essere apri ad almeno 2 miliardi. Ecco perché quei soli 100 milioni non sono credibili.

I RAGIONIERI E I SINDACI

La dimostrazione di questo sospetto la troviamo nella relazione che gli Ispettori della Ragioneria dello Stato inviarono, nel gennaio del 2014, al sindaco Ignazio Marino. In soli 100 giorni – tanto durò il loro lavoro – riuscirono a fare ciò che per anni ed anni nessun amministratore locale romano, tanto di destra quanto di sinistra, aveva tentato. Risultati sconcertanti, specie se si tiene conto della scarsa collaborazione incontrata. Documenti che non si trovavano. Domande rimaste senza risposte. Dirigenti delle strutture, forti della loro inamovibilità, che giravano la testa da un’altra parte.

DOSSIER AFFITTI

Cominciamo dagli affitti. Dal 2007 al 2012 hanno fruttato, in teoria, circa 30 milioni all’anno. Ne sono stati riscossi meno della metà. Il resto si è tradotto in un credito, sempre debolmente reclamato. Al termine di quei 5 anni, il valore di questi ultimi è pari a circa 90 milioni. Una quindicina potranno essere ancora riscossi, il resto passa in cavalleria. Crediti inesigibili – dice la relazione – per 72,559 milioni. Se i sospetti del Prefetto Tronca sono giustificati, allora la mancata riscossione deve essere moltiplicata per tre. Ci troveremmo, pertanto, di fronte ad una perdita di oltre 200 milioni. Più i 100 milioni di affitti spariti a causa del mancato censimento.

ASILI E SCUOLE

Secondo capitolo doloroso: i servizi a domanda individuale. Asili nido, assistenza agli anziani, mercati, musei, scuole e via dicendo. Le leggi nazionali ( il decreto legislativo 267 del 2000) prevedono che il costo di questi servizi debba essere coperto dall’utente, almeno per 36 per cento. La generosità pelosa dell’Amministrazione lo ha ridotto al 21,8 per cento. Quando Milano, sempre secondo la relazione degli Ispettori, esige il 43,5 per cento. Senza voler strafare, atteniamoci alla norma: i minori introiti sono di circa 20 milioni all’anno.

LE MULTE

Quindi il tasto dolente, per gli automobilisti, delle contravvenzioni. Tranquilli è una tigre di carta. E’ vero, infatti, che si multa a più non posso. In compenso non si paga. Ovvero si paga poco. Il riscosso effettivo, infatti, non supera il 36 per cento. Multe (anni 2005 – 2007) per oltre 151 milioni. Effettivamente pagate per 52. Intanto i crediti sono cresciuti. Nel periodo 2008 – 2012 le contravvenzioni elevate sono state pari a quasi 950 milioni. Ma sono stati pagati solo 160 milioni scarsi. La quota ritenuta inesigibile dagli Ispettori ammonta a 565,283 milioni.

ICI E IMU

Per l’ICI e l’IMU le cose non vanno meglio. Dal 2003 al 2007 la vecchia ICI è stata incassata solo per il 24,4 per cento. Per l’IMU più recente le cose sono andate un po’ meglio, con una percentuale d’incasso leggermente maggiore. Ma a chi è capitato di contestare qualche “cartella” pazza ha trovato il delirio. Il Comune che rinvia ad Equitalia. Quest’ultima che  scarica, di nuovo, sul Comune. Ed allora sentiamo cosa dicono gli Ispettori: “la difficoltà ad interpretare i dati di Equitalia” derivano “da un tabulato non immediatamente intellegibile”. Se lo dicono loro, immaginate come dovrebbe reagire un povero contribuente.

TARSU E TARI

Per la TARSU e la TARI, altre imposte incomprensibili non solo dal punto di vista lessicale, la situazione non è diversa. Si paga (2003 – 2007) solo il 23 per cento scarso. Legittima difesa, si potrebbe dire, visto che i servizi indivisibili, questo il corrispettivo delle tasse richiamate, dovrebbero essere finanziate con l’addizionale comunale sull’Irpef. Accertato nel quinquennio quasi 1,7 miliardi. Riscosso ben poco, considerato che i residui ammontano di 1,6 miliardi. Si ridurranno, ma solo a condizione di una piccola rivoluzione amministrativa che al momento non si vede. Altrimenti quella quota inesigibile, che gli Ispettori quantificano in 84 milioni, diverrà una vera e propria voragine.

CONCLUSIONE

A questo punto si possono tirare le somme. Nel periodo 2008 – 2012 le somme che mancano all’appello, secondo i calcoli della Ragioneria generale, sono pari a circa 200 milioni l’anno. E non è un calcolo completo. Ci sono, infatti, altre voci da considerare. Per le alienazioni dei cespiti e la riscossione dei crediti, Milano incamererà, nel 2015, quasi 2 miliardi. Roma si ferma a 210 milioni. Cosa non sorprendente visto il modo di operare della sua Amministrazione. C’è  quindi da meravigliarsi se il sistema bancario ha chiuso i cordoni della borsa? A Milano, concederà prestiti per 1,3 miliardi. Roma ha faticato a iscrivere a bilancio somme per 330 milioni. La sintesi finale di un piccolo grande disastro.



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