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Ecco come Arabia Saudita e Russia cercano di congelare il prezzo del petrolio

I ministri del Petrolio di Russia e Arabia Saudita si sono incontrati oggi nella capitale del Qatar, Doha, per discutere del mercato del greggio, raggiungendo un accordo (da proporre ancora agli altri produttori) per mettere un limite alle estrazioni.

UN’INTESA INASPETTATA

Un meeting e una convergenza inaspettati, anche perché sui due più grandi produttori di oro nero al mondo pesa la crisi siriana. Mosca si trova adesso nella fase di massimo sforzo per sostenere il regime di Damasco, sostegno che comincia a portare buoni risultati, permettendo ai governativi di riconquistare diverse fette di territorio. Dall’altra parte, Riad sostiene militarmente, economicamente ed ideologicamente molte delle fazioni ribelli contro cui russi e regime (e iraniani) stanno dirigendo i propri attacchi.

Fino a qualche giorno fa, sembrava addirittura che soldati sauditi sarebbero potuti entrare in Siria e tutti temevano che il rischio all’orizzonte fosse uno scontro aperto con le truppe sciite di Bashar al-Assad sostenute dai russi (o direttamente con i russi, visto che ormai circolano varie informazioni sul fatto che Mosca abbia schierato anche truppe di terra). Oggi, a Doha, città che più volte è stata teatro di importanti mediazioni (vedi alla voce Iran-Usa), i due ministri si sono incontrati su un punto pragmatico, il petrolio, che rappresenta per entrambi i Paesi il modo con cui mandare avanti i bilanci statali, mentre anche gli impegni militari iniziano a pesare sulle casse dello Stato, che per entrambi fanno segnare dati non troppo confortanti.

CONGELAMENTO DELLE PRODUZIONI

Per anni l’Arabia Saudita è stato l’ago della bilancia all’interno dell’Opec, l’Organization of the Petroleum Exporting Countries, dove però non ci sono né Russia e nemmeno gli Stati Uniti, che sono altri due grandi produttori. Riad ha avuto sempre una posizione di forza nell’organizzazione anche attraverso l’influenza (economica ed ideologica) che esercita su diversi altri Paesi. Attraverso questi Stati ha potuto creare una sorta di cartello attraverso il quale, negli ultimi anni, ha spinto la produzione a ritmi molto elevati, inducendo così il calo dei prezzi. In precedenza i sauditi avevano fatto sapere che non ci sarebbe stata possibilità di limitare le produzioni senza un accordo preventivo con la Russia.

La decisione presa è stata definita “freeze”, congelamento delle produzioni, non un vero e proprio calo, ma un tetto fissato prendendo a riferimento quelle del mese di gennaio 2016 (mese in cui Riad ha toccato i 10,6 milioni di barili al giorno). Il fatto che sia arrivata in accordo con Mosca è un segnale accolto positivamente dai mercati, con un rialzo immediato dei prezzi di quasi il 5 per cento, a cui però è seguito un assestamento successivo, al ribasso, legato ad un generale scetticismo e allo scontento di molti investitori che avrebbero preferito una riduzione piuttosto che un congelamento su livelli comunque alti delle produzioni.

STABILIZZARE I PREZZI

La necessità di fermare le produzioni arriva anche di fronte alla diminuzione della domanda. Il mondo, osservano alcuni analisti sentiti dal Wall Street Journal, consuma meno petrolio, essenzialmente perché la produzione industriale e i commerci sono diminuiti un po’ ovunque (per esempio, arriva sempre oggi il dato sull’import/export cinese, che a gennaio fa segnare rispettivamente -11,2 per cento e -18,8), ed è aumentato sensibilmente l’uso di energie alternative. “Con il mondo inondato di petrolio e con la domanda che si sta prosciugando, i prezzi del petrolio si sono bloccati in una stasi, dopo essere sceso del 70% da giugno 2014”, ha spiegato il Wall Street Journal.

Mohammad bin Saleh al-Sada, ministro del Petrolio del Qatar, ha dichiarato che la decisione presa oggi garantirà la stabilizzazione del prezzo del petrolio, anche se tra gli analisti prevale lo scetticismo, come visto dall’andamento dei grafici dei prezzi.

IL PETROLIO IRANIANO

Tra domenica e lunedì la prima tranche di petrolio iraniano è arrivato in Europa: 4 milioni di litri che rappresentano il via delle esportazioni per Teheran e che potrebbero essere stati un catalizzatore dell’incontro odierno. La Repubblica Islamica si è detta pronta a superare gli steccati ideologici per trattare con Riad: in un momento di forte tensione tra i due mondi islamici (sciita iraniano e sunnita saudita), peggiorato dall’evolversi del conflitto siriano, il passo di Teheran è percepito come un altro segnale positivo dietro all’intesa di Doha.

Insieme al russo e al saudita era presente anche l’omologo ministro venezuelano, in rappresentanza, per così dire, del gruppo di Paesi esclusi dal club saudita, di cui Venezuela e Iran sono i più grandi produttori.

Ora il punto sarà vedere se lo spirito collaborativo sarà vero o meno: Teheran ha già annunciato di voler incrementare le proprie estrazioni, per godere appieno dei benefici del sollevamento delle sanzioni post deal nucleare. E, dunque, sarà disposto ad allinearsi alla decisione presa oggi in Qatar? Va detto che quelli congelati sono ritmi molto alti, che producono un surplus offerta/domanda di circa 2 milioni di barili e dunque non dovrebbero rappresentare un intralcio per l’Iran, ma va ricordato che l’adeguamento degli altri Paesi al congelamento è una delle condizioni posta dai quattro rappresentati presenti al vertice di Doha.

Mercoledì è previsto un incontro ristretto tra Venezuela, Iran e Iraq (altro grande produttore), in cui i diplomatici sudamericani cercheranno di estendere l’accordo anche agli altri due Paesi mediorientali con cui Riad ha rapporti difficili.

IL PRESSING DEI PICCOLI

Anche le pressioni fatte da altri Paesi membri dell’Opec, come la Nigeria e lo stesso Venezuela, secondo l’analisi del WSJ potrebbero aver pesato sulla decisione di congelare la produzione. Si tratta di Stati che hanno vincolato il proprio sviluppo alle risorse energetiche, che in una situazione di prezzi bassi si trovano un enorme bene in mano, ma di scarso valore; negli ultimi anni sono stati cancellati dal settore qualcosa come 400 miliardi di investimenti. La speranza, per questi (e a questo punto anche per i più grandi) è che fermare l’incremento estrattivo a cui si assistito finora, possa rialzare il prezzo del greggio.

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