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Bcc, ecco perché Confcooperative sbuffa contro la riforma Renzi

Qualcosa non quadra nella riforma del credito cooperativo approvata dal governo lo scorso mercoledì. Ne è convinto il vicepresidente vicario di Confcooperative, Maurizio Ottolini. In una conversazione con Formiche.net, il mantovano Ottolini analizza portata ed effetti della riforma approvata dal governo

TRA CENTRODESTRA E CENTROSINISTRA

“È una violenza istituzionale che ci riporta indietro di decenni, ai giorni del Fascismo che sciolse le associazioni cooperative – ha detto Ottolini – Il  governo di centrodestra, mosso in passato da istinti punitivi nei confronti della cooperazione, ha capito e rispettato la natura cooperativa. Assistiamo, invece, in questo caso a intese con il governo stravolte per assecondare altre necessità nel progetto di riforma delle Bcc. Abbiamo creduto anche alle dichiarazioni di Renzi che più volte ha ribadito i valori della cooperazione, ma le misure annunciate ieri sono un attacco al cuore delle Bcc e della cooperazione in generale”.

DOVE E PERCHE’ IL GOVERNO HA SBAGLIATO

Un aspetto criticato fortemente da Confcooperative è la clausola way out, ovvero l’obbligo per la Bcc che ha almeno 200 milioni di euro di riserve e che non vuole finire sotto il cappello della holding unica da 1 miliardo di capitale di trasformarsi in spa e pagare il 20% di imposte straordinarie sulle riserve. “Non è possibile pensare di costringere le banche che non aderiscono alla holding a trasformarsi in spa, via decreto per giunta, uno strumento d’urgenza cui ormai siamo tristemente abituati”, dichiara Ottolini. Il timore dell’associazione delle cooperative è che una volta violata la natura delle Bcc, vincolandole alla trasformazione in spa in caso di mancata adesione alla capogruppo, una qualche forma di riforma possa un giorno abbattersi anche sulle altre realtà cooperative. “Questa riforma rappresenta un vulnus pericolosissimo, che apre la strada alla fine del sistema cooperativo, visto che poi potrebbe toccare anche alle cooperative di altri settori”.

LA DOCCIA FREDDA

“Da mesi, eravamo in attesa del decreto bloccato da Palazzo Chigi – continua Ottolini – Ne riceviamo una doccia fredda, perché le misure tradiscono le intese, stravolgono e pervertono la soluzione concordata e aprono una falla disastrosa nella tenuta del sistema. Insomma, invece, di sostenere la cooperazione autentica si va nella direzione opposta assicurando le tentazioni opportunistiche, nonostante le rassicuranti dichiarazioni del premier”.

UNA RIFORMA SCORRETTA

Per Confcooperative il riassetto deciso dal governo non è condivisibile “sia da un punto di vista etico, sia formale”, spiega Ottolini. “Per la prima volta si vuole favorire le cooperative a trasformarsi in società di capitali e questo vuol dire snaturare un sistema e un patrimonio costruito da generazioni di soci. Questo è un problema etico, perché si scontra con la natura del credito cooperativo”. Secondo Ottolini, però, c’è anche una questione di legittimità costituzionale per la precisione, visto e considerato “che la Costituzione tutela la cooperazione”, rimarca Ottolini. Non è tutto. C’è un altro aspetto che piace poco alla confederazione delle cooperative. Quella del patrimonio accumulato nei decenni dal sistema cooperativo. Ottolini lo chiama “intergenerazionale, perché tramandato con una serie di vincoli nell’utilizzo nel tempo”. E che ora, secondo il numero due della confederazione “dovrebbe finire nelle mani di altri soci, che ne disporrebbero senza gli stessi vincoli che ne hanno determinato l’accantonamento”, tipici della cooperazione.

LE (PRESUNTE) RAGIONI DI UN DECRETO

Ma quali sono le ragioni che potrebbero celarsi dietro la riforma del credito cooperativo operata dal governo? “Non vorrei che ci fossero dietro ragioni di opportunità”, sibila Ottolini. Ovvero? “Si dice che alcune banche toscane siano già pronte a trasformarsi in spa. L’operazione, di per sè, potrebbe convenire a queste persone. Basti pensare che una piccola Bcc, con pochi soci, può avere un patrimonio di 100 milioni. Con la trasformazione in spa, ogni nuovo socio si metterebbe in tasca 100.000 euro”, calcola Ottolini.

LA BCC DI ROMA E DINTORNI

La riorganizzazione del credito cooperativo non piace a una buona fetta del credito cooperativo, e persino Federcasse ha espresso delle perplessità. C’è chi ha già confermato che nonostante il way out rimarrà nel sistema? Tra queste, la Bcc di Roma, non una delle tante, ma l’istituto cooperativo più grande in Italia. “La BCC di Roma é la più grande, ma dobbiamo vedere l’insieme il credito cooperativo che è fatto da oltre 370 banche”.

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