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Cosa si diranno Papa Francesco e il Grand Imam di al Azhar

Mentre l’attenzione degli osservatori è ancora rivolta a indagare le conseguenze dello storico incontro del Papa con il Patriarca di Mosca Kirill, su un altro fronte – altrettanto delicato – si segnala uno sviluppo assai importante. Dopo anni di tensioni, si avvia il disgelo tra il Vaticano e il centro di al Azhar, la più importante istituzione sunnita, con base al Cairo.

LA DELEGAZIONE AL CAIRO

Tre giorni fa all’ora di pranzo è stato diffuso un comunicato del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso in cui si dà conto dell’incontro avvenuto tra mons. Angel Ayuso Guixot (segretario del dicastero), mons. Bruno Musarò (nunzio in Egitto) e il vice del Grand Imam, Abbas Shuman. A quest’ultimo è stata consegnata una lettera firmata dal cardinale Jean-Louis Tauran, in cui il porporato francese “esprime la sua disponibilità a ricevere il Grand Imam e ad accompagnarlo ufficialmente in udienza dal Santo Padre”. Non è la prima volta che Ayuso Guixot incontra Shuman, ma ora c’è l’invito ufficiale per un’udienza tra il Grand Imam al Tayeb e il Pontefice.

L’INTERRUZIONE DELLE RELAZIONI

Le relazioni tra il Vaticano e al Azhar erano interrotte, ai più alti livelli, dal gennaio del 2011, quando due interventi di Benedetto XVI determinarono la reazione immediata dell’istituzione sunnita. Ratzinger, riferendosi a un attentato che aveva colpito poco prima una chiesa copta ad Alessandria (che aveva causato 22 morti), aveva parlato di “terrorismo” che “ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera”. Considerazione ripresa nemmeno dieci giorni dopo, rivolgendosi al Corpo diplomatico, quando disse che “questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i governi della regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose”. E, ancora, proseguiva il Papa oggi emerito, “bisogna dirlo ancora una volta? I cristiani in medio oriente sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. E’ naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione”.

L’ACCUSA DI AL AZHAR

La risposta di Ahmed al Tayeb non si fece attendere: accusò il Pontefice di “ingerenza” e di provocare “una reazione politica negativa” in oriente e in Egitto. Il portavoce di al Azhar, poi, chiedeva a Benedetto XVI di compiere una sorta di mea culpa pubblico per quanto dichiarato, magari “scusandosi per le crociate”. L’allora presidente egiziano, Hosni Mubarak, ritirava immediatamente l’ambasciatore presso la Santa Sede.

I PROBLEMI COL PAPA TEDESCO

Una crisi durata a lungo, al punto che ancora nel 2013, in calce agli auguri rivolti a Francesco per la sua elezione al Soglio di Pietro, dal Cairo si sottolineava che “il nostro problema non è col Vaticano, ma col Papa tedesco, che ha parlato della protezione delle minoranze in Egitto e ha descritto l’islam come religione di sangue”. Il riferimento, indiretto, era anche alla mai “metabolizzata” lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona, nel settembre del 2006, che tanta ira scatenò presso le comunità islamiche del vicino e medio oriente.

LA TRAMA DIPLOMATICA

Gli ultimi due anni sono stati dedicati a ricomporre, lentamente, la trama interrotta. Mediazioni, inviti, vertici in cui la diplomazia vaticana (e quella cosiddetta “parallela” di Sant’Egidio) hanno giocato un ruolo rilevante. Già due anni e mezzo fa, per la fine del Ramadan, Francesco aveva inviato una lettera al Grand Imam, attraverso il nunzio di allora in Egitto, mons. Jean-Paul Gobel, circa la necessità di impegnarsi “nella comprensione tra cristiani e musulmani nel mondo, per costruire la pace e la giustizia”.

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