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Donald Trump, Papa Francesco e i muri (veri e finti)

Continua la marcia di Donald Trump verso la Casa Bianca. Questo è il dato che si ricava attualmente dai sondaggi, anche se ad oggi è più corretto dire che la sua corsa lo vede lanciato unicamente alla nomination repubblicana. Un risultato non di poco conto e inimmaginabile alla vigilia. I suoi sfidanti, Marco Rubio e Ted Cruz, sono stabilmente alla pari intorno al 25%, molto lontani dal 44% che può vantare il magnate.
L’elettorato conservatore americano, da sempre diviso in sé e differenziato Stato per Stato, ha offerto, in queste ultime settimane, segnali molto caotici, a tratti perfino incomprensibili, finendo per avvantaggiare la proposta più eccessiva sul campo.

Per suo conto Trump continua a mietere popolarità con i suoi proclami estremi, tremendamente comunicativi. Come si sa il suo forte è il machismo, l’ostentazione dell’energia personale, nonché le sue idee molto arroccate e retrive in materia di immigrazione.
Laddove Papa Francesco parla di apertura tra i popoli, concependo il mondo come una realtà in movimento senza confini ermetici, Trump invece evoca verbi cari al tradizionalismo più radicale, quali ‘chiudere’, ‘limitare’ e ‘murare’.

Si tratta di una contrapposizione netta, la quale non smette di alimentare polemiche almeno da quando il Papa è intervenuto sull’areo con i giornalisti di ritorno dal Messico, definendo ‘non cristiane’ le sue posizioni. Dopo una reazione scomposta, Trump ha dapprima smorzato i toni, ritornando sulla questione ieri, nello spettacolare comizio nel Nevada, utilizzando l’ironia sui muri del Vaticano, evidentemente preferiti al magistero alto e umano di Francesco.

Bene. Di fatto questa querelle rientra negli automatismi della comunicazione e nelle cosiddette idiosincrasie personali. Non potrebbero esserci due atteggiamenti cristiani più antitetici e distanti da quello di chi pensa ad una comunità autoreferenziale, trincerata nei suoi spazi, rispetto a chi invece pensa la dimensione umana come misurata dal tempo e dai destini migratori collettivi.

È molto importante, però, sfatare alcuni equivoci che potrebbero nascere. Il primo riguarda una possibile partecipazione all’agone politico da parte del Papa. Evidentemente Bergoglio spesso interviene a braccio con istintività sulle cose, ma il suo punto di vista è religioso e perciò preoccupato, nello specifico, di evitare che l’universalità del messaggio cristiano, rivolto a tutto il genere umano, sia travolto da un’ondata di particolarismo, legittimo dal punto di vista politico, ma inaccettabile dal punto di vista religioso. Si potrebbe dire che la polemica di Francesco con Trump riguarda la visone cristiana, non quella direttamente politica dei Repubblicani.

Un secondo equivoco consiste nel proiettare sul piano culturale un’intenzione progressista alle parole del Papa rispetto ad una tendenza conservatrice opposta. In realtà, Francesco ha una sensibilità spirituale molto marcata che lo porta a percepire con profondità il senso cristiano della misericordia e la centralità dei poveri.

A parlar chiaro non si tratta per nulla di una visione politica di sinistra. Anzi a leggere bene i suoi documenti magistrali, e ancor più i suoi pronunciamenti precedenti, si notano alcuni riferimenti valoriali che in Europa possono essere facilmente travisati, ma che non sono facilmente riportabili ad una concezione socialista di tradizione marxista.
In tanto l’idea di popolo. Francesco ha sottolineato sempre la centralità dei popoli e la loro superiorità come soggetti comunitari rispetto agli individui e alle diverse forme di società finalizzate ad interessi volontari. I popoli sono comunità di tradizione, sono soggetti naturali, espressione della storia, e così via.

I popoli sono nazioni, che Bergoglio vede come identità collettive in movimento e come entità culturali capaci di convivere tra loro senza mescolarsi e ibridarsi. Un tema importante questo che mostra come la polemica sui muri con Trump riguardi non tanto la matrice individualista e progressista, che egli non sente propria, ma il rischio di trasformare le comunità popolari in nazionalismi. Come ha detto Roger Scruton, una buona idea di nazione è il miglior antidoto al nazionalismo. Una nazione è un popolo che ha un’identità aperta, mentre il nazionalismo vuol trasformare l’identità di un popolo in un soggetto chiuso e separato dal resto del mondo.

Anche in materia di diritti fondamentali, la cerniera che separa il conservatorismo radicale, presente anche nell’Europa dell’Est o in movimenti come la Lega e il Front National, dalla posizione di Francesco è meno banale di quanto non si pensi. Il Papa vede nella solidarietà e nella misericordia cristiana l’unica possibile via per costruire un ordine mondiale, contrapponendosi così alle varie forme individualistiche di relativizzazione atomistica dell’umano o alle altrettanto radicali perpetrazioni di disuguaglianze che acuiscono la cultura dello scarto.
Sarebbe interessante, insomma, non politicizzare in modo unilaterale quanto il Papa dice, comprendendo bene il suo linguaggio e la sua sensibilità latinoamericana, da recepirsi come un motivo di ispirazione per tutti, tanto della sinistra quanto della destra.

Oggi una possibile ripresa culturale europea della visione politica popolare non può fare a meno, in conclusione, di evitare derive autosegregative, come quelle di Trump, ma anche appiattimenti a forme più o meno larvate di socialismo e di progressismo egualitarista.
Il Papa invita a pensare a tutto il mondo, esorta una ricollocazione della persona umana e della famiglia al centro dei valori globali, partendo dal tutto delle nostre comunità, e pensando ai popoli come soggetti in cammino in grado di crescere nella democrazia solo se dotati di presupposti umani stabili e generosi.


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