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Ecco come e perché il Pentagono si concentra sulla cyber guerra alla Cina

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Il segretario alla Difesa americano Ash Carter ha chiesto di aumentare i fondi a disposizione del bilancio per il 2017 del Pentagono. Carter, in conferenza stampa martedì scorso, ha detto che il piano economico è stato progettato tenendo a mente che la rinnovata spinta al riarmo della Cina è la principale minaccia per gli Stati Uniti, insieme all’attivismo russo oltre i propri confini (per questo è previsto anche l’aumento della presenza americana in Europa con fondi quadruplicati), e prima della consolidazione del threat globale Stato islamico.

Washington sta ampliando l’attenzione militare non solo sui conflitti nelle aree “post-2001” (Medio Oriente e Nord Africa), ma anche verso minacce di “fascia alta”, scrive il Washington Post, a cui un funzionario della Difesa ha spiegato che la “vera competizione militare” per gli Usa riguarda “i progressi militari compiuti dalla Cina” e quelli che compirà nel prossimo decennio.

Interesse centrale ce l’avrà il settore dell’informatica, dove la Cina ha spinto tanto quanto in quello militare tradizionale (mezzi e armamenti). Per restare al passo, il bilancio del Pentagono prevede 71.4 miliardi di dollari messi sul comparto ricerca e sviluppo cyber-tecnologico, ossia 17 in più di quelli dello scorso anno.

SFIDA DI MUSCOLI NEI MARI

Un altro comparto che avrà un incremento di fondi e di spinta produttiva, sarà quello delle armi marittime, navi e sottomarini robotici, e un super-proiettile navale (electromagnetic railgun) da sparare come intercettore al posto dei costosi missili Patriot. L’enfasi di Washington sulle tecnologie marittime, risponde in questo caso alla volontà di contrastare Pechino, che si sta costruendo anche come una potenza navale: l’obiettivo immediato è portare pressione nelle aree contese del Mar Cinese Meridionale.

La risposta americana sullo stanziamento dei fondi per il Pentagono si abbina ai comportamenti muscolari visti negli ultimi periodi nelle zone delle isole contese.

Sabato 30 gennaio il cacciatorpediniere americano “Curtis Wilbur” è passato a 12 miglia nautiche dall’isola Triton, che fa parte dell’arcipelago delle isole Paracel, rivendicata da Cina, Taiwan e Vietnam, ripetendo un’azione già vista ad ottobre 2015 e compiuta da un altro destroyer americano, il “USS Lassen”. Gli americani evidenziano che i passaggi interessano acque internazionali, ma è ovvio quello dichiarato anonimamente da un funzionario della US Navy alla CNN: lo facciamo per sfidare “le rivendicazioni eccessive che limitano i diritti e le libertà degli Usa e di altri Paesi” nell’area.

L’INVESTIMENTO SUL CYBER-WARFARE

Circa 7 miliardi saranno investiti strettamente sul comparto “cyber” della Difesa americano, e sono parte di un piano a lungo raggio da 35 miliardi in 5 anni. Alcuni analisti sottolineano che sulla visione a lungo raggio della strategia economia del Pentagono i comandanti dei reparti più operativi hanno sollevato delle obiezioni, facendo notare che c’è piuttosto necessità di investimenti sull’immediato, perché lo scenario è in continua mutazione).

Il DoD (Department of Defense) investirà una parte dei soldi per creare delle strutture di protezione più impenetrabili: il reparto è già ricco e strutturato, ma ciò non ha impedito ad attacchi di hacker governativi cinesi, nordcoreani e russi, di violare alcune porte che nascondevano dietro segreti militari di primo piano. A gennaio dello scorso anno, per esempio, il settimanale tedesco Spiegel pubblicò dei documenti, ricevuti dal famosissimo whistleblower Edward Snowden che testimoniavano come hacker cinesi fossero riusciti a mettere le mani sui progetti top secret del super caccia F-35 nel 2009 (pare che parte delle informazioni abbiano iniziato a sfuggire di mano dalla ditta costruttrice Lockheed Martin già dal 2007). Secondo quanto rivelato alla Reuters da Wikileaks, gli Stati Uniti avrebbero classificato l’attacco con il nome in codice (segreto, per dire) “Byzantine Hades” e, secondo una specifica presentazione Power Point interna (segreta, in teoria, anche questa) a cui sempre lo Spiegel aveva avuto accesso lo scorso anno, Washington considererebbe responsabile una specifica unità dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese. Nell’hacking sarebbero stati sottratti anche dati sul super bombardiere stealth B-2 e sul caccia di ultima generazione F-22, su sistemi laser spaziali, disegni di missili balistici e anti-aerei e pure quelli di un sottomarino nucleare. In totale, stando ai dati diffusi un anno fa, gli episodi di hacking contro il governo americano sarebbero stati almeno 30.000, più di 500 le intrusioni considerate significative nei sistemi del Dipartimento della Difesa, almeno 1600 computer del DoD penetrati, e più di 600.000 account utenti compromessi, oltre a circa 300.000 tra username e password violati. La quantità dei dati sottratti (50 terabyte, si dice) sarebbe stata pari a cinque librerie del Congresso.

Numeri e dettagli che non hanno mai trovato conferma ufficiale da Washington, ovviamente. Così come Pechino ha sempre negato ogni genere di coinvolgimento, anche se le immagini che girano del nuovo aereo in progettazione per l’aviazione cinese, il J31, evidenziano una clamorosa somiglianza con l’F35 (gli esperti sottolineano comunque che tra i due velivoli ci sono grosse differenze tecniche e tecnologiche a favore di quello statunitense).

CYBER ATTACCHI AMERICANI

L’investimento del Pentagono, inoltre, prevede che il settore cyber diventi un asset strategico delle Forze Armate americane, e non più soltanto uno strumento di difesa per tenere sotto controllo segreti di alto livello. La previsione è di creare altri corsi di formazione del personale e consolidare le strutture dedicate, al fine di utilizzare quella cyber come un’opzione offensiva a tutti gli effetti come quella terrestre, aerea e navale.

LA RIORGANIZZAZIONE CINESE

Il 31 dicembre del 2015 è stata annunciata ufficialmente una riorganizzazione nell’assetto militare delle forze armate cinesi. In particolare, le unità informatiche e quelle di raccolta (e furto) di dati di intelligence sono stati elevati all’interno della Strategic Support Force (SSF), ossia equiparati ad esercito, marina e aviazione. Si stima che il cosiddetto 3PLA, o Dipartimento 3, possa contare su oltre centomila hacker (per confronto, l’NSA, che è l’agenzia americana che si occupa di cyber spionaggio, conta circa 40 mila persone). Il personale altamente qualificato del 3PLA è specializzato in attacchi in rete contro strutture militare e civili, il quartier generale si troverebbe nella zona Haidian di Pechino, ma ci sarebbero sedi in tutto il paese, tra queste quella di Shangai si occuperebbe soltanto di seguire gli Stati Uniti; cinque membri del dipartimento, nel maggio del 2014, sono stati incriminati dal dipartimento di Giustizia americano per aver attaccato aziende americane. Anche il Dipartimento 4, che avrebbe compiti specifici per la guerra elettronica, è stato inserito nel SSF.

Gli esperti sottolineano come questo nuovo inquadramento strutturale voluto da Pechino, permetterà alle agenzie cinesi di muoversi ancora più efficacemente, sfruttando le risorse di altri settori delle forze armate. Anche sotto quest’ottica va inquadrata la contromossa annunciata martedì dal capo del Pentagono.



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